Per Conte non c’è campo. Letta: «Ora difficile ricomporre»
23 Luglio 2022#20e30, le richieste dei giovani al governo che verrà: «Basta scherzare col nostro futuro»
23 Luglio 2022
Paola Di Caro
ROMA Non si vedevano da prima delle Amministrative, in quel vertice di Arcore finito quasi a male parole. Ieri hanno provato, pare riuscendoci, a rompere il ghiaccio, con un incontro a pranzo a Villa Grande. Non è ovviamente bastato a sciogliere i nodi che restano nella coalizione — il maggiore, quello sulla regola per la premiership, l’altro la divisione delle quote di candidature nei collegi uninominali — ma è servito a riprendere un rapporto senza il quale un centrodestra che si sente sulla cresta dell’onda rischia di finire nella risacca. Il tutto in attesa che i temi più spinosi vengano affrontati quando i leader del centrodestra si vedranno anche con Salvini, in una sede istituzionale come pretendeva Meloni e con un «ordine del giorno chiaro, che permetta di uscire dal vertice con decisioni e non parole». Il summit dovrebbe tenersi alla camera mercoledì.
Da entrambi gli entourage si accredita la versione che Berlusconi e Meloni non siano entrati in nessun punto specifico, ma due cose sono certe. La prima è che la leader di FdI all’alleato ha detto che in una campagna brevissima non ci possono essere divisioni, liti, recriminazioni, e perdite di tempo perché dopo la sfiducia a Draghi che fa prevedere grande diffidenza verso chi lo sostituirà «noi dobbiamo vincere più collegi possibili: in passato ci siamo divisi per logiche di proporzionale, oggi non dovrà più succedere. Dobbiamo vincere con forte margine e tutti assieme». Niente sgambetti o scherzi, insomma.
Berlusconi ha concordato, ma il problema cardine resta: sul tema della premiership non c’è ancora unità. Berlusconi al Corriere aveva rivelato «l’idea» che per scegliere il prossimo premier si potrebbe «farlo eleggere subito dopo il voto da un’assemblea dei parlamentari eletti». Vanificando in sostanza una eventuale pole position della Meloni. Un’uscita che in realtà non ha sorpreso i bene informati di FdI («Era da un po’ che arrivavano spifferi simili»), ma che li ha fatti infuriare. La stessa leader con i suoi è stata molto chiara: «Questa campagna elettorale è troppo breve, e non si possono certo rimettere in discussione le regole che hanno sempre funzionato», ha scandito. Regole che prevedono che «il partito che arriva primo esprima il premier».
Un punto su cui Matteo Salvini si è sempre detto d’accordo, e che ieri sera ha ribadito: «Il prossimo premier? Finalmente lo sceglieranno gli italiani: chi prenderà un voto in più avrà l’onore e l’onere di indicare il nome». Parole che non hanno sorpreso Meloni («Lo ha sempre detto»), ma che non bastano a rassicurare perché da FI l’apertura non c’è. Ignazio La Russa avverte: «Se vogliamo fare un regalo alla sinistra, c’è solo un argomento che possiamo dare loro in pasto: questo. Non esiste che si cambino le regole che sono sempre valse per tutti. È il miglior modo per farci apparire divisi, e per togliere senso al centrodestra».
Altro tema sarà quello delle candidature. Si parla di una divisione dei collegi uninominali in tre parti uguali: 33% alla Lega, 33% a Fdi e 33% a FI con i centristi. Altro punto su cui FdI non vuol sentire ragioni: «La regola sempre usata è che i collegi si distribuiscono sulla base di tre sondaggi autorevoli che si fanno svolgere alla vigilia della formazione delle liste», altro che «tener conto dei risultati storici dei partiti, come propone Calderoli», avvertono da via della Scrofa: «Con il loro criterio noi perderemmo 35 parlamentari rispetto ai previsti, inaccettabile».
Ci sarà molto da lavorare insomma. Perché bisognerà tenere conto di tante variabili — la forza regionale di ciascuno, oggi in discussione — ma anche le candidature nelle Regioni che andranno al voto, dalla Sicilia alla Lombardia a tutte quelle che verranno dopo. E il tempo stringe. Non c’è più un minuto da perdere, tantomeno per litigare.