« L’Histoire de l’estre » : Martin Heidegger et le fin mot de l’histoire
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3 Dicembre 2022Meloni e la tagliola dei tempi Qualche sì alle opposizioni per evitare l’esercizio provvisorio
ROMA — Hanno preso da parte Giorgia Meloni, nel chiuso di Palazzo Chigi. Poi i ministri più fidati hanno spiegato alla premier la criticità della situazione: «Se l’opposizione si mette di traverso, rischiamo di arrivare alla vigilia dell’anno con la manovra inchiodata alla Camera». Calendario alla mano, il governo rischia il disastro: mancano i tempi tecnici per dare un parere compiuto sugli emendamenti, per votarli in commissione, per gli ordini del giorno in Aula. Basta, soprattutto, che anche una sola delle forze di centrosinistra decida di far slittare la tabella di marcia di Montecitorio di sei giorni (dal 25 al 31 dicembre) per rischiare l’esercizio provvisorio. Per questo, ora Palazzo Chigi valuta una mossa a sorpresa: provare ad accordarsi con le opposizioni accogliendo alcuni emendamenti simbolici, in cambio della rinuncia delle minoranze al filibustering, salvando il governo dall’onta di un fallimento. Non si tratta solo del Terzo Polo, che ha promesso responsabilità. Ma di Pd e 5S, pronti a dare battaglia.
La svolta va costruita. Il primo segnale è arrivato ieri, con un passaggio apparentemente criptico di Meloni. «Liberare le energie migliori di questa nazione è tra le sfide più impegnative che abbiamo davanti – ha detto -. Per farlo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Le porte di questo governo sono e saranno sempre aperte al contributo e alle proposte che arriveranno». Da chi? La premier elenca corpi intermedi, mondi economici e produttivi, think tank, «e tutti coloro che hanno a cuore il futuro della nazione». La chiave è tutta nell’ultima frase. E nell’infernale percorso che la destra ha davanti.
Per raccontarlo, una premessa: l’unico rischio di esercizio provvisorio deriva dall’eventuale stallo della manovra alla Camera. Palazzo Madama ha infatti modificato il regolamento, prevedendo all’articolo 55 comma 5 la “ghigliottina”. Se anche la finanziaria dovesse arrivare il 31 dicembre al Senato, questo meccanismo permetterebbe alla maggioranza di ridurre il passaggio a un unico e immediato voto in Aula.
Ma è alla Camera, come detto, che si annunciano i guai peggiori. Basta studiare il calendario. Il 7 dicembre scade il termine per gli emendamenti. Ne sono attesi almeno 3 mila. Entro l’11 andranno identificati quelli “segnalati”, cioè destinati ad essere discussi: 450 in tutto. Il 12 e 13 dicembre serviranno al ministero dell’Economia per fornire un parere su ciascuna delle proposte: di solito vengono sfornati 20 o 30 “giudizi” al giorno, stavolta servirebbe un ritmo di 200. Al limite dell’impossibile, senza opposizioni. L’alternativa è bocciarli tutti, generando una vera rivolta. Ma anche in commissione non c’è tempo: non le solite due settimane, ma quattro giorni, dal 15 al 18. Il testo arriverà inAula entro il 20 dicembre. Chiudendo entro Natale – un’impresa, se Pd o 5S si impuntano – resterebbero sei giorni per Palazzo Madama. Se invece le minoranze dovessero mettersi di traverso, si rischierebbe il peggio. Ecco perché Meloni pensa a un patto in nome dell’interesse nazionale. Per capire la gravità di questa fase, basta un altro dato: la premier potrebbe saltare la conferenza internazionale di Parigi sull’Ucraina del 13 dicembre perché soltanto quel giorno è possibile il dibattito in Aula sulla guerra. In questo quadro, Meloni proverà comunque a volare a ridosso di Natale dai militari italiani in uno dei teatri più complessi in cui sono impegnati all’estero.