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13 Febbraio 2024MAGGIORANZA
La premier prova a smorzare il derby con Salvini: «Sfumature diverse un valore aggiunto, siamo compatti» Ma il Carroccio presenta l’emendamento che non piace a Fdi e continua a frenare sul premierato
Roma
Il pressing della Lega sulle riforme frena lo slancio di Fdi sul premierato, fortemente modificato rispetto ai progetti meloniani proprio su indicazioni di Roberto Calderoli. Ma il Carroccio, incassato il primo sì sull’autonomia, ora rilancia anche sul terzo mandato dei presidenti di regione, con un emendamento al decreto elezioni, in vista delle prossime amministrative. Così il partito della premier si ritrova incartato sulla riforma costituzionale, che ancora non prende corpo, tra modifiche e tentativi di cambiamenti osteggiati da Matteo Salvini, con i ministri meloniani che piazzano paletti davanti all’alleato.
Nonostante le difficoltà, però, intervistata dal Tg5, Giorgia Meloni ridimensiona i contrasti interni a «sfumature diverse che però considero un valore aggiunto altrimenti saremmo un partito unico. Stiamo insieme per scelta e quando dobbiamo trovare soluzioni, le troviamo sempre», assicura. « L’opposizione fa il suo mestiere, la vedo però decisamente più nervosa della maggioranza», secondo la premier, decisa a non mollare i tanti tavoli aperti e impegnativi per fare campagna elettorale (magari da candidata): « Il modo migliore di fare campagna elettorale è governare e governare bene», dice.
Di certo qualche argine per l’alleato “irrequieto” andrà comunque alzato. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, per esempio,
mette in chiaro che «prima che venga approvata in seconda lettura l’autonomia regionale, dovrà essere approvata in prima lettura al Senato la riforma costituzionale». Insomma, la Lega può spingere quanto vuole, ma alla fine troverà un muro su cui fermarsi. Allo stesso modo dovrebbe capitare con la proposta leghista che consentirebbe il terzo mandato di sindaci e presidenti di regione, presentata ieri in sede di conversione del decreto per le amministrative di primavera. Meloni ha già escluso questa apertura, decisa a “prendersi” il Veneto di Zaia (visto che la Lega ha anche Lombardia e Trentino e Fi il Piemonte e che senza il terzo mandato diventerebbero contendibili anche Puglia e Campania). Perciò dentro Fdi si è certi che la richiesta verrà ritirata, spontaneamente o no.
Ma intanto Calderoli e compagni tengono duro anche sul “secondo premier”, che tanti problemi sta creando a Meloni, malgrado le diverse riformulazioni della revisione costituzionale. La ministra per le Riforme Elisabetta Casellati continua a immaginare nuove modifiche. Si lavora sulle dimissioni “volontarie” del premier eletto e sulla doppia sfiducia, che ha ingarbugliato le carte, consentendo la possibilità di sciogliere le Camere solo nel caso (meno probabile) in cui il Parlamento voti contro il presidente del Consiglio. Possibilità negata nel caso più frequente di sfiducia sui provvedimenti dell’esecutivo. «Questo non impedisce che si possa reincaricare lo stesso premier », se si trattasse di «un incidente di percorso», spiega il presidente della Commissione Affari costituzionali Alberto Balboni di Fdi. «Siamo pronti a modificare il testo, ma il Pd non è disposto ad alcuna collaborazione», accusa, con il Pd che respinge al mittente, ma piuttosto considera le parole di apertura un tentativo di far fare alle opposizione l’argine per la Lega.
Continua invece a difendere la modifica della forma di governo il presidente del Senato. « Meloni, Fdi e il centrodestra proponendo che il capo del governo sia eletto direttamente dai cittadini, dal popolo, non pensa solo a quello che succederà fra 3 anni, ma a quello che succederà nei prossimi 30 anni – secondo Ignazio La Russa . Vogliono evitare che in futuro vi sia al governo gente che non ha vinto le elezioni». A quel punto, va avanti La Russa, non servirà più un presidente della
Repubblica con il ruolo attuale, che, ammette, è stato determinante in questi anni «in un sistema com’è stato fino adesso in cui alla fine delle elezioni non si sapeva chi aveva vinto». Con il premierato, il presidente del Senato, che ha sempre ammesso un ridimensionamento dei poteri del Quirinale, prevede che «ci sarà sempre un vincitore, a quel punto il ruolo minore del presidente è perché non c’è l’incertezza».
E però a esser convinti che la maggioranza continui a modificare il testo della riforma per scaricare sul Parlamento le divisioni interne sono anche gli esponenti di Avs, oltre al Pd. Mentre Azione ribadisce la sua preoccupazione per il sistema scelto che «conferisce al premier il potere assoluto mentre il Parlamento, maggioranza e opposizione, viene sottomesso alla volontà tirannica del premier ».
Nel guazzabuglio di posizioni, Libertà Eguale, Fondazione Magna Carta e Io Cambio propongono per il 27 febbraio una giornata di riflessione di costituzionalisti e intellettuali bipartisan, «personalità libere e indipendenti» per individuare punti di incontro e sciogliere i nodi e individuare un modello in grado di ottenere la maggioranza qualificata che evita il referendum.
Per le opposizioni, invece, il lavoro sulla riforma è collaterale. La priorità è come arrivare alle europee, dove Pd e M5s si giocano il tutto per tutto. Elly Schlein convoca la Direzione dem il 19 febbraio. All’ordine del giorno «valutazione della situazione politica e il congresso Pse dell’1 e 2 marzo a Roma». Ed è lì che in molti si aspettano che la segretaria scioglierà la riserva sulla sua candidatura.