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ROMA — A pestare «il mio figlio fragile» è stata la baby gang 18, che si ispira alle bande sudamericane e a Roma conta 90 adolescenti. «Non è morto per un centimetro e ha rischiato di perdere la vista da un occhio. Mio figlio è vivo per miracolo», dice la mamma del diciassettenne con un lieve deficit cognitivo diventato la preda di sette suoi coetanei, adesso tutti rinviati a giudizio. Le mani della donna ancora tremano quando, accanto al marito e davanti al loro palazzo di Roma Nord, parla con difficoltà della «gratuità di quella violenza».
Suo figlio, a casa, spera che questa storia venga dimenticata il più presto possibile. «È agitato, ha ripreso la sua vita ma tutto questo lo ha segnato e continua a farlo».
Suo figlio è stato vittima di un appuntamento-trappola in una domenica di maggio 2021, dopo avere conosciuto una ragazzina su Instagram.
«Non auguro a nessun genitore di ricevere la telefonata che abbiamo dovuto ascoltare noi. La polizia ci ha chiamati quel tardo pomeriggio per comunicarci che il nostro ragazzo era ricoverato. Mio figlio era uscito di casa intorno alle 15. Ad aspettarlo fuori dalla metro, a piazzale Ostiense, sono stati in sette. Lui non li conosceva, era andato lì per incontrare una ragazzina da quello che è emerso dalle indagini. E lei era pure lì. Nessuna pietà per lui. Lo hanno preso a calci fino a farlo cadere e per un solo centimetro non ha sbattuto la tempia. Altrimenti saremmo due genitori senza più un figlio in questo momento».
L’aggressione è stata ripresa da uno dei bulli e pubblicata sui social.
«Quelle immagini sono inguardabili, ci fanno molto male. Il video è arrivato anche a noi. Mio figlio era indifeso e i calci e i pugni erano uno dietro l’altro. È stato lasciato a terra svenuto, solo. L’ha soccorso un passante che ha anche chiamato l’ambulanza e la polizia. Ancora ci chiediamo il perché di tanta cattiveria».
Come ha reagito suo figlio al pestaggio?
«I primi giorni sono stati terribili. C’era la preoccupazione che potesse perdere la vista dall’occhio destro. Quando la paura è passata, è subentrata la vergogna. Lui non voleva più scendere di casa nemmeno per comprare il pane. Ha faticato molto a ritornare a una vita normale. Dopo due settimane è rientrato a scuola ma in Dad e ha deciso di tenere la telecamera spenta».
Adesso come va?
«È seguito da uno psicologo perché la sua fragilità, dal giorno del pestaggio, quel 2 maggio, si è amplificata. Adesso che i giornali hanno iniziato a scrivere di quanto successo, a indagini chiuse, è ripiombato in questa storia. Nostro figlio ha una grande forza e sta cercando di superare tutto questo. Ha degli amici fidati, per fortuna, e una buona rete familiare».
Dopo la denuncia, quei ragazzini o le loro famiglie vi hanno contattati per sapere come stesse suo figlio?
«Nessuno ci ha mai chiesto nulla sulla sua salute. Lo avremmo di certo molto gradito, più delle scuse che comunque non sono mai arrivate. Sappiamo con mio marito che dovremo ancora affrontare giorni difficili. Noi abbiamo le spalle forti per sostenere nostro figlio».
Due adolescenti avevanopercepito che c’era stata un’imboscata e hanno cercato di fermare quel pestaggio.
«Sì, si tratta di due ragazze che non fanno parte di quella gang, sono amiche di mio figlio. Ma già era tutto successo a quanto pare».
Secondo lei perché è successo tutto questo a vostro figlio?
«Non c’è un perché. Quei ragazzi avevano bisogno di sfogare la loro rabbia e l’hanno fatto con nostro figlio. Avevano bisogno di uscire dalla loro gabbia. Tutto questo non li giustifica. Aspettiamo un processo che già sappiamo essere doloroso. Mai (guarda negli occhi il marito,ndr )ci saremmo immaginati che la gratuità della violenza si sarebbe abbattuta su nostro figlio. A tutti i genitori vorremmo lanciare un messaggio: state più vicini ai vostri ragazzi».