L’uscita del Tesoro dal capitale di Mps entro il 2024 aprirebbe all’integrazione con Modena che piace ai soci dei due istituti
MILANO — La strada per costruire il “terzo polo bancario italiano” intorno al Monte dei Paschi, è piuttosto pianeggiante. Porta in via San Carlo a Modena, cuore della città romanica dove ha sede Bper. I tempi non sono maturi, ma c’è ancora un anno e gli astri si vanno allineando. Il consenso politico e di sistema risulta, a livello preliminare, acquisito, per un’aggregazione che piace sia al Tesoro, primo socio a Siena, che a Unipol e Fondazione Bds, insieme poco sotto il 30% di Bper. Anche Mcc e Unicredit sarebbero disposti a dare una mano per la celebrazione, rilevando fino a un quarto delle filiali senesi così da agevolare l’operazione. Nessuno dei protagonisti, però, accredita questa ricostruzione, che risulta aRepubblica da due fonti finanziarie. Per ragioni di riservatezza, e per il fatto che le urgenze del governo per il momento sono altre.
Bper, malgrado negli ultimi anni abbia integrato 532 sportelli di Ubi, Carige e Banco di Sardegna, ha la volontà e il supporto dei soci per crescere ancora: e anche se il gruppo è un mezzo cantiere l’integrazione delle reti procede spedita. La rete Mps, oggi di 1.368 sportelli, è comunque troppo grande per essere integrata con i 1.900 di Bper: anche per le valutazioni di Borsa, dove ormai la banca senese vale 2,8 miliardi di euro contro i 3,4 miliardi di Bper. Per questo dietro le quinte si è rispolverato lo schema tentato due anni fa, per cedere a Mcc fino a 150 filiali Mps, specie in Puglia e Sicilia. Il gruppo controllato dal Tesoro, che nel 2019 salvò la Popolare di Bari, s’era già detto disponibile, per rafforzare il polo bancario del Sud. Unicredit, invece, sta studiando la possibilità di rilevare una parte delle filiali venete delle reti ex Antonveneta e Bam: Mps ha 180 sportelli nella regione, l’8% del mercato, mentre la banca guidata da Andrea Orcel in Veneto è poco presente. Anche Unicredit trattò il dossier Mps, due anni fa, col Tesoro: poi ritirandosi per il disaccordo sull’entità della dote da ricevere.
Stavolta, ed è un ulteriore sprone per l’azionista pubblico, non sono alle viste doti da pagare a chiunque compri Mps. La banca, dopo la ricapitalizzazione da 2,5 miliardi di sei mesi fa e l’avvenuto taglio dei costi del lavoro, è tornata a generare “capitale e redditività sostenibile, e potrebbe anticipare la distribuzione del dividendo”, come ha detto l’ad Luigi Lovaglio a Repubblica giorni fa, uscendo allo scoperto sulle fusioni: «Per la posizione che riveste nel sistema e i suoi 550 anni di storia Mps deve e può partecipare con ruolo importante alla costruzione del terzo polo». La banca, salvata con 5,5 miliardi di denaro pubblico nel 2017, andava riprivatizzata a metà 2022 nei primi impegni presi con la Commissione Ue. Ma il Tesoro, che ha il 64%, l’estate scorsa strappò due anni di proroga. Uno è trascorso, e l’orientamento del governo Meloni è piuttosto chiaro. La premier a fine 2022 disse: «Lavoriamo per assicurare un’uscita ordinata dello Stato da Mps e creare le condizioni per cui in Italia ci siano più poli bancari». E a Trento Giorgetti ha ribadito:«Le mosse che faremo saranno indirizzate a dare un assetto al mercato italiano ancora più competitivo, il governo le idee le ha. L’obiettivo è fare nel sistema del credito quel che abbiamo fatto con Ita» nell’aviazione.
Anche le poltrone potrebbero non essere un problema. Piero Luigi Montani, a capo di Bper dal 2021, scade nel 2024, e secondo le fonti potrebbe lasciare l’incarico, una volta integrate le reti acquisite. Mentre Lovaglio, appena confermato dal Tesoro a Siena, è molto stimato anche da Carlo Cimbri, il leader di Unipol che detta i tempi a Bper. Proprio Lovaglio fu nella rosa ristretta per sostituire l’ex ad di Bper Vandelli, nel 2021: poi Cimbri gli preferì Montani, che aveva già guidato l’incorporanda Carige. Stavolta potrebbe toccare a lui per il “terzo polo italiano”.