L’Arma getta così tutto il suo peso sull’iniziativa giudiziaria che investe Mori, protagonista di vicende investigative tuttora al centro di mille interrogativi e però già assolto nel processo per la Trattativa Stato-mafia e prima per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina dopo l’arresto nel 1993 e per aver rinunciato al blitz a Mezzojuso che nel 1995 avrebbe potuto portare alla cattura di Bernardo Provenzano. “Supererò quest’ennesima angheria”, ha detto Mori dando notizia dell’avviso “ricevuto – ha detto – nel giorno del mio 85esimo compleanno”. Subito ha incassato il sostegno del governo: prima dal potente sottosegretario Alfredo Mantovano – delegato ai Servizi segreti, ex giudice con solidi legami nell’Arma – che ha ricevuto Mori lunedì, poi dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Del resto è un governo che ha scelto il conflitto con la magistratura.
L’Arma dei carabinieri, però, è un’altra cosa, i suoi investigatori lavorano con le Procure. Se c’è un precedente riguarda il generale Giampaolo Ganzer, anch’egli ex comandante del Ros benché figura non paragonabile a Mori: nel 2010, quando Ganzer fu condannato a 14 anni per il traffico di droga messo su per giustificare brillanti operazioni, poi derubricato e prescritto, l’allora comandante Leonardo Gallitelli si dichiarò “fiducioso nel favorevole esito positivo dei prossimi gradi di giudizio” e confermò “la piena affidabilità” di Ganzer. Gallitelli era suo compagno di corso; non ci sono invece rapporti così stretti tra Mori e l’attuale comandante dell’Arma, Teo Luzi, ufficiale molto prudente e attento agli equilibri istituzionali.
Al comando negano qualsiasi sollecitazione politica. Luzi, prossimo alla scadenza, si è certamente confrontato con il capo di stato maggiore, il generale Mario Cinque, candidato a succedergli. La nota sarebbe solo “solidarietà umana” aderente al “sentire comune” dei carabinieri che vedono in Mori “un modello”. Ieri tre generali di grande esperienza ci hanno detto che non avrebbero mai diffuso un comunicato simile, un quarto sì. La nota premette “rispetto” per la magistratura, concetto diverso da quello di fiducia. Non proclama l’innocenza di Mori ma “confida” che saprà “dimostrarla”. Ieri il generale Cinque e il procuratore di Firenze Filippo Spiezia si sono sentiti, poi quest’ultimo ha difeso l’ufficio: “Il nostro dovere è completare tutte le verifiche sulle stragi del 1993”, ha detto, auspicando di “terminare entro il 2024”.
Quanto poi al “sentire comune”, al Fatto ha parlato Antonio Tarallo, segretario dell’Unione sindacale carabinieri (Usic): “Il comando generale quando si tratta di un alto dirigente fa le note stampa e quando si tratta di semplici carabinieri li trasferisce e apre procedimenti sanzionatori. Prendo atto della differenza tra ‘ricchi e poveri’: pieno rispetto per Mori, ma credo che il comando con questa nota abbia creato una guerra di classe”. C’è poi chi va ben oltre la nota del comando: Mori è “vittima della persecuzione del magistrati comunisti di Firenze”, ha scritto un generale in una chat di ex rappresentanti Cocer.