La banca, che non ha commentato l’indiscrezione di Repubblica, avrebbe avviato da giorni i contatti con la vigilanza sul passaggio di governance, per disporre di un’opzione in più, ritenendo che una lista redatta dai consiglieri uscenti possa essere la scelta migliore per rinsaldare le redini del gruppo che ha appena esteso il suo controllo a Mediobanca e al suo 13% di Generali.

Mediobanca, inizia l’era Mps “Scriviamo un altro capitolo”

 

Il dialogo con la Bce, sull’asse Siena-Milano, è fitto da un anno. Nei mesi scorsi, stanti le critiche all’uso delle “lista del cda” da parte dei primi azionisti senesi Delfin (ora al 17,5% di Mps) e Caltagirone (10,2%), i soci e i manager dietro le quinte ipotizzavano che sarebbe stato uno dei due soci privati a presentare la lista “di maggioranza”. Ma già in estate e subito dopo non c’erano più le condizioni per procedere.
Entrambi, apportando le loro azioni Mediobanca all’Opas senese, hanno superato il 10% in Mps e chiesto a Francoforte il nulla osta. Ma la Bce, nel concederlo (in agosto a Delfin, a fine ottobre a Caltagirone), ha continuato a considerarli “investitori finanziari”, che non possono esercitare le funzioni di controllo o di influenza gestionale diretta.

 

 

Una scelta in linea con i vincoli che la vigilanza pone ai privati negli istituti e già conosciuta da Delfin e Caltagirone in Mediobanca. Per questo, dichiarando le sue intenzioni in Consob sulla scalata a Piazzetta Cuccia, Caltagirone in estate si impegnava (anche con la Bce) «a non presentare liste di maggioranza finché la quota sarà sopra il 10%». Soglia oltre cui si ha “influenza notevole”, uno stadio intermedio verso il “controllo”: e più ancora se l’imprenditore romano, o Delfin, presentasse poi una lista di maggioranza su Mps, e magari i due la votassero uniti.

Per fugare tale scenario, che richiederebbe ai due soci gli stessi presidi di capitale delle holding bancarie (miliardi in più), si è tornati a studiare la lista del cda, nella versione modificata e resa più complessa dalla legge Capitali, che proprio Delfin e Caltagirone avevano caldeggiato per limitare il potere dei manager di Generali e di Mediobanca.

 

 

Di certo i presidi rafforzati dalla nuova legge richiederanno forte concordia tra i due soci e i manager Mps: perché la lista del cda si forma, appunto, in cda, con iter lungo e articolato il cui primo passaggio sarà integrare lo statuto in un’assemblea straordinaria. Con l’ad Luigi Lovaglio, dopo le frizioni estive su Generali e sulle nomine in Mediobanca, ora i rapporti sono più distesi. Quanto al presidente Nicola Maione, già al secondo mandato, potrebbe beneficiare di un cambio di statuto e di un innalzamento a tre mandati. Anche qui, un modo per avere disponibile un’opzione: quella di confermare il duo oggi al vertice, ma in un cda che tre anni fa era stato voluto dal Tesoro che aveva il 64% di Mps, mentre ora è eletto da i privati.

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