Alla fine Donald Trump ha trovato il suo palco migliore. O forse è stato Elon Musk: è difficile dire chi venga prima e chi venga dopo, se è più potente chi si candida (per la terza volta) a diventare il presidente degli Stati Uniti, o chi sta sempre sulla vetta della classifica degli uomini più ricchi al mondo, o al primo posto o poco sotto.
L’intervista di oltre due ore che è andata in onda in ritardo questa notte, ora italiana, su X (l’ex Twitter, ora di proprietà dello stesso Musk) è importante per questo e per altri motivi dal forte impatto simbolico. Intanto perché Trump è tornato su Twitter, pardon “X”, dopo quattro anni e dopo che era stato cacciato, dalla vecchia proprietà, per aver in qualche modo sobillato la folla che poi avrebbe attaccato Capitol Hill. Con sé porta anche la possibilità di nuovi investimenti pubblicitari che darebbero ossigeno al social network.
Ma forse l’aspetto più significativo ancora è che questa notte, fra mille problemi tecnici e un presunto cyberattacco, si è compiuto quello che è sempre stato il vero disegno di Musk e che finora gli era riuscito con fortune alterne. Ovvero, compiere una più autentica “disintermediazione”, costringere i giornali a inseguire quello che avviene nel suo regno.
Non è la prima volta che succede, dato che ogni sua sparata ha poi un ampio risalto. Questa volta però gli è riuscito il salto di qualità: dare la massima legittimazione a una realtà parallela, a cui una buona parte degli Stati Uniti (e del mondo) ha deciso di credere. Usando Musk, e usando Trump, come fonte principale di conoscenza sui più svariati fatti e le sue interpretazioni.
Significa aver creato una barriera a ogni possibile controllo indipendente, aver sconfitto il giornalismo per far vivere un’unica verità, la loro. Più che un progetto politico, o imprenditoriale, sembra la nascita di una religione. Non è chiaro se ad auto-eleggersi divinità sia stato Trump o sia stato Musk, o entrambi.
Ma l’aspetto più inquietante è che quando esiste una “verità rivelata” poi gli adepti faticano a usare il senso critico e ad accettare ciò che vi si oppone. Come ha detto l’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in un’intervista alla Cbs (uno dei vecchi media) «se vincerà Kamala Harris non è detto che la transizione del potere sarà pacifica».
L’intervista
Di questo spettro non si è parlato invece nell’intervista di questa notte, che è stata una sorta di grande riassunto del Trump pensiero, con Musk a fare da facilitatore. E Trump a rilanciare, con la voce stanca e un po’ impastata, complimenti verso l’imprenditore, per la qualità delle sue auto Tesla (anche se normalmente nei comizi si scaglia contro le auto elettriche) o per le sue doti da leader, manifestate quando si è comprato Twitter, licenziando gran parte del personale.
Dire che il contesto è stato amichevole è dunque un eufemismo, ma si è parlato anche molto di nemici, veri o presunti, a partire da fantomatici hacker che avrebbero causato problemi tecnici a X e fatto ritardare l’intervista di una quarantina di minuti. Anche in questo caso, è difficile dire se questa sia la verità, o una facciata di bugie costruita per sorreggere la grande finzione.
L’altra nemica è ovviamente Kamala Harris, giudicata come una radicale «più a sinistra di Bernie Sanders» e troppo incompetente per guidare gli Stati Uniti. Gli esempi da seguire sono invece altri: Nicolás Maduro in Venezuela, che ha mantenuto il potere anche se non ha vinto le elezioni. E poi Xi Jinping e Vladimir Putin, con i quali – sostiene Trump – bisogna comunque andare d’accordo. «Dovresti vincere per il bene della nazione», ha rilanciato Musk.
Attentato e deportazioni
Trump è tornato a parlare anche del tentato assassinio che ha subìto durante un comizio in Pennsylvania, la dimostrazione – secondo Musk – che ha la stoffa per guidare gli Stati Uniti, intimidendo i possibili nemici. L’ex presidente ha detto che tornerà a Butler, nel luogo della sparatoria.
Ha parlato del piano di deportazione per i migranti irregolari, con i toni tipici della sua campagna elettorale: se vinceranno i democratici, ha detto, ci sarà un’invasione di migranti. Con lui, al contrario, ci sarà «la più grande deportazione della storia americana».
Musk, che un tempo era un sostenitore di Obama e che solo un paio di anni fa aveva detto che Trump sarebbe stato troppo anziano per governare, si è proposto di dare una mano per «controllare che i soldi dei contribuenti siano spesi nel migliore dei modi».
L’ex presidente è sembrato promettergli un ruolo nel suo futuro governo: «Ho bisogno di un Elon Musk. Ho bisogno di qualcuno che abbia molta forza, coraggio e intelligenza».
Il re dei complottisti
La storia di Elon Musk si potrebbe riassumere in un collage di tweet. Che non sono quelli che lui stesso ha scritto, prima e dopo che si è comprato il social network. Ma sono invece i momenti-chiave di una vita sola che sembra rinchiudere più vite, talvolta in contraddizione fra loro.
Tutto si può sintetizzare attraverso piccoli titoli, appunto come se fossero dei tweet: dall’infanzia in Sudafrica al rapporto con i bulli che lo tormentavano. Dal rapporto conflittuale con il padre fino al grande successo imprenditoriale. Dal sogno di approdare su Marte fino all’acquisto di Twitter. Di tutto questo, e dei risvolti traumatici che hanno costruito una personalità a tratti “diabolica”, sono stati scritti libri – il più famoso è forse quello di Walter Isaacson, uscito in Italia per Mondadori.
Ma ciò che adesso importa è l’ultima svolta: quella compiuta mezz’ora dopo che Thomas Matthew Crooks ha sparato a Trump, ferendolo all’orecchio, e Musk ha annunciato al mondo il suo appoggio all’ex presidente. Da quel momento in poi, Musk è diventato il principale diffusore di teorie alternative e complotti, di ogni tipo, compresa la falsa attribuzione del genere maschile alla pugile algerina Imane Khelif. Fino all’intervista di questa notte.
Prima che andasse in onda, il commissario europeo Thierry Breton aveva avvertito che un impatto mediatico così devastante avrebbe portato a maggiori responsabilità e a possibili sanzioni secondo il Digital Services Act. Musk aveva risposto con un meme in cui in sostanza invitava il commissario ad andare a farsi fottere.
Faraoni
Ci sono due teorie su come la storia possa essere riletta e interpretata: se attraverso i grandi eventi e le gesta dei grandi personaggi o se attraverso i movimenti di massa, costruiti da singole persone di cui non conosceremo mai i nomi, ma che nell’insieme costituiscono una sorta di motore anonimo e collettivo.
In un certo senso, Elon Musk e Donald Trump si sono convinti che possano essere gli interpreti di entrambe queste visioni: loro da soli, a cambiare il destino del mondo. Ma anche loro come ispiratori di altri movimenti che si muovono dal basso, nelle strade d’America, verso la conquista dello spazio (Musk) o della Casa bianca (Trump). E soprattutto a bordo del social network che un tempo era Twitter e che ora è X.
Tutto questo risente ovviamente del ruolo messianico che Musk e Trump hanno costruito su di sé, in un immenso delirio di onnipotenza. Da qui nasce il grande senso di smarrimento nel cercare di trovare un senso alle follie, alle apparenti contraddizioni e ai cambi di casacca di due uomini: vorremmo leggere tutto attraverso gli schemi della politica e invece forse dovremmo farlo attraverso quelli della religione.
«L’ho sentito parlare con la convinzione di un profeta della necessità di alimentare la fiamma della coscienza umana, decifrare l’universo e salvare il pianeta», ha scritto Isaacson riferendosi a Musk.
«All’inizio ho avuto soprattutto l’impressione che recitasse una parte e che i suoi fossero i tipici discorsi motivazionali e le classiche chiacchiere da podcast di un uomo-bambino che aveva letto troppe volte la Guida galattica per gli autostoppisti. Ma, incontrandolo molte altre volte, mi sono convinto che il senso di una missione da compiere sia parte integrante delle sue motivazioni».
La sociologa Brooke Harrington, esperta di ultraricchi, ha scritto sull’Atlantic che in 17 anni di ricerca le è capitato più volte di sentire «dai consulenti finanziari che i clienti multimilionari e miliardari si considerano al di sopra delle leggi». «Un consulente patrimoniale», spiega Harrington, «mi ha detto che alcuni dei suoi clienti credono sinceramente “di discendere dai faraoni e di essere destinati a ereditare la Terra”». Un’idea che non ci sorprenderebbe troppo che fosse di Trump o di Musk.
Harrington cita il fatto che questo modo di pensare emerge chiaramente in un libro del 1997, The Sovereign Individual, di James Dale Davidson e William Rees-Moog, che non a caso è indicato come uno dei suoi preferiti da Peter Thiel, cofondatore di Paypal proprio con Musk, e trumpiano da più lunga data.
Nel libro gli ultraricchi sono paragonati, senza ironia, «agli dèi della mitologia greca», che meriterebbero «niente di meno che il dominio del mondo». Come se gli ultraricchi avessero capacità che gli stati non possono – per loro natura – esprimere: il futuro dovrebbe essere nelle loro mani.
La neo religione
Trump e Musk si sono incoronati profeta e divinità (starebbe a loro chiarire chi è l’uno e chi è l’altro). E da questo delirio nasce anche il fatto di farsi specchi attraverso i quali si riflettono tutti i complottismi più beceri. Alla fine quello che resta, anche dopo l’intervista di questa notte, è un grande caos ed è forse questo – soprattutto questo – che li rende i perfetti interpreti dei tempi che stiamo vivendo.
Il punto è che Elon Musk forse non è Ramses II e non è nemmeno Napoleone, ma vorrebbe tanto esserlo. Per riuscirci sembra avere venduto l’anima ad ognuna delle sue ossessioni, fino a rimanere un involucro che si riempie continuamente dello spirito del tempo e di un progresso vero e immaginato, dove la democrazia non è poi tanto indispensabile: le auto elettriche, la conquista di Marte, l’intelligenza artificiale, la guerra in Ucraina, il ritorno di Trump, le rivolte nel Regno Unito, persino la crisi demografica italiana o il genere di una pugile.
Tutto passa da lui. E continuerà a godere della nostra confusione, mentre cerchiamo di incarnarlo in una regola che lui continuerà a sovvertire, in diretta su X.