«Non capite che tipo di linea rossa avete oltrepassato. Il nemico dovrà aspettarsi collera e vendetta. Siamo entrati in una nuova fase, in relazione a tutti i fronti di supporto. Israele gioisce adesso. Hanno ucciso Sayyed Mohsen (Fuad Shukr) e Ismail Haniyeh a distanza di poche ore. Ridete adesso, ma presto piangerete». Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, è caustico nel suo discorso in occasione dei funerali del comandante Shukr, ucciso nell’attentato di lunedì sera a Beirut.

IL PARTITO/MILIZIA non può permettersi di non rispondere o di farlo in maniera blanda. Ne andrebbe della sua reputazione tra i sostenitori e a livello internazionale. Se l’attentato del 2 gennaio, nel quale Israele aveva ucciso il numero 2 di Hamas, Saleh Aruri, sempre nella Dahieh (periferia a sud di Beirut controllata da Hezbollah) poteva anche essere considerato solo un colpo indiretto al Partito di Dio, l’uccisione di Shukr ha tutt’altro peso.

Una risposta solo formale sarebbe un invito a bombardare Beirut ogni volta che Israele ne senta la necessità. L’uccisione del numero due di Hezbollah, come quella del capo politico di Hamas, Haniyeh, a poche ore di distanza dal punto di vista militare/strategico non rappresenta molto: «Quando uno dei nostri comandanti arriva al martirio, lo rimpiazziamo rapidamente con uno dei suoi allievi. Abbiamo un’eccellente nuova generazione di comandanti», precisa Nasrallah. Ma il valore di quest’omicidio, in questo momento, in questo luogo, in questo modo è altamente simbolica. La Dahieh, dove si trovava il palazzo colpito dal drone israeliano, è il cuore beirutino della resistenza sciita, il quartier generale di Hezbollah nella capitale.

«GLI ISRAELIANI non sanno da dove verrà la risposta. E Israele non sa verso cosa sta andando. La decisione la lasciamo al campo. È il campo che sa quello che si deve fare. Noi cercheremo una risposta reale, non di facciata. Cercheremo una risposta studiata», continua la massima carica del Partito di Dio. Migliaia in strada nella Dahieh, galvanizzati, cantano slogan contro Israele e contro gli Stati uniti per i funerali del generale Shukr. In centinaia in piazza anche a Tel Aviv. Lo slogan: «Non c’è vittoria senza il ritorno degli ostaggi».

Il premier israeliano Netanyahu ha subito replicato in un comunicato che «Israele è a un livello molto elevato di preparazione per qualsivoglia scenario, tanto difensivo, quanto offensivo». In giornata aveva anche annunciato la morte di Mohammad Deif, generale di Hamas a Gaza, avvenuta il 13 luglio, ma resa nota solo dopo le operazioni a Teheran e Beirut.

«Nasrallah continua a mentire», così Avichay Adraee, portaparola arabofono dell’esercito israeliano scriveva ieri su X, riferendosi al razzo caduto sul villaggio druso di Majdal Shams nelle alture del Golan occupato che sabato scorso ha ucciso dodici tra bambini e adolescenti, lanciato da Hezbollah secondo Israele e Stati uniti. Hezbollah ha dichiarato dal primissimo momento di non essere responsabile. La stessa comunità drusa del posto – e quella libanese, in solidarietà – ha invitato Israele a evitare strumentalizzazioni. Ma sul campo continuano i bombardamenti da una parte e dall’altra del confine tra Libano e Israele. Dei missili israeliani su Shaama, nel sud del Libano, hanno ucciso nel pomeriggio una madre siriana e i suoi tre figli di 10, 12 e 20 anni. I feriti al momento sono cinque.

IL MINISTRO uscente della sanità libanese Firas Abiad ha dichiarato che il sistema sanitario nazionale potrà reggere per quattro mesi in caso di guerra. L’aria che si respira nel paese è pesante. Le ong straniere implementano i piani di emergenza e di evacuazione. Si cominciano a fare scorte di carburante, non perché ci sia già una vera e propria emergenza, ma perché quello della guerra adesso è uno scenario oltremodo realistico.

Gli uffici delle Nazioni unite consentono agli impiegati internazionali di lavorare da remoto e di lasciare il paese, dando priorità alle famiglie. Quella di una guerra in tutto il territorio libanese è in queste ore una possibilità concreta con cui fare i conti e non più remota come fino a pochi giorni fa.

I VOLI per e dall’aeroporto di Beirut sono ancora incerti: molte compagnie hanno deciso di sospendere o di rinviare le prenotazioni fino a che la situazione non diventi più stabile. La tedesca Lufthansa ha prolungato la sospensione dei voli per Beirut fino al 12 agosto e ne ha annunciata un’altraa per Tel Aviv fino all’8 agosto. La giornalista libanese J. N. dice che «Hezbollah dall’inizio del conflitto è stato categorico sul fatto che avrebbe risposto a ogni provocazione e quindi anche questa volta lo farà. Per quello che riguarda una guerra totale, ho ancora dei dubbi a riguardo. È certamente uno scenario possibile».

Ma mai come adesso il Libano – assieme alla regione intera – è sull’orlo del precipizio. Questa guerra totale, qualora divenisse realtà, sarà ricordata come una catastrofe per chiunque vi dovesse prender parte.