Non capita spesso di vedere sullo schermo una storia che inizia con una donna anziana che spegne la televisione, estrae un Dvd stizzita ed esclama più o meno: «Questa serie è proprio una boiata», riferendosi al prequel di ciò che non l’anziana donna, ma lo spettatore in carne e ossa si accinge a guardare proprio in quell’istante con spasmodica curiosità e devozione. Naturalmente l’autore di questo cortocircuito non poteva che rispondere al nome di Lars von Trier, il quale a venticinque anni di distanza dall’ultima puntata (quella che ha indispettito la protagonista!) porta sul grande (e poi sul piccolo) schermo Riget Exodus (The Kingdom- Exodus) , ossia la terza stagione di The Kingdom, a suo tempo (ma anche ora) uno dei migliori prodotti che, in un certo senso, ha contribuito alla crescita e allo sviluppo della serialità. Se oggi i registi cinematografici hanno accettato la sfida del racconto a puntate, consapevoli di poterla vincere, in parte lo devono anche all’eccentrico autore e produttore danese che nell’ormai lontano 1994 e 1997 sorprese il pubblico «da salotto» con una storia tra l’horror e il demenziale.

UN MEDICAL DRAMA, la serie è ambientata in un ospedale, che stravolgeva i codici dei dottori in tv e, soprattutto, che metteva a dura prova il telespettatore con intrighi e cambi di registri narrativi impiantati dentro uno schema da soap opera. Se proprio si dovesse indicare un precedente, sarebbe scontato l’esempio altrettanto eccezionale di Twin Peaks di David Lynch e Mark Frost. Anche se von Trier nel collegamento via Zoom, non potendo essere a Venezia per motivi di salute (da poco ha rivelato di essere affetto dal morbo di Parkinson) ha indicato un altro esempio: «Ho preso dai film di Bergman e dai suoi personaggi. Ero un ammiratore di Bergman e credo abbia raggiunto il vertice della sua carriera in Fanny e Alexander».
E così a Venezia, gli spettatori della Mostra (la serie è tra i titoli Fuori Concorso) hanno avuto la possibilità di scoprire per intero il terzo capitolo di 295 minuti, divisi in due parti per il cinema, in sei puntate per le piattaforme e la televisione. In Italia, Riget Exodus è strato comprato da Movies Inspired.

Un medical drama, la serie è ambientata in un ospedale, che stravolgeva i codici dei dottori in tv

COME SPIEGA von Trier nella breve nota di regia, questo prodotto si situa su un territorio di «confine». In ogni senso. Sin dalle prime battute, quando come anticipato Riget Exodus prende le mosse da una donna che insoddisfatta per quello che ha visto sul Dvd, cerca autonomamente di scoprire la verità che si cela dietro il celebre ospedale di Copenhagen, il Regno.
Dunque il confine linguistico, sul quale da sempre il padre del decalogo Dogma 95 ha puntato, sia per ragioni estetiche, sia per portare alla ribalta quei prodotti low budget che probabilmente non avrebbero ricevuto l’attenzione desiderata. E se si parla di confini, Riget Exodus è il prosieguo dell’ironico conflitto tra danesi e svedesi, tra chi si sente più grande e chi medita vendetta.

E POI NON POTEVA mancare il confine tra il sensibile e il sovrasensibile, tra il noto (non così certo) e l’ignoto. D’altro canto, comicità e horror sono parte del continuo rimescolamento dei generi a cui von Trier non vuole giustamente rinunciare. Sulla trama, nella speranza che questo terzo capitolo del Regno arrivi presto sugli schermi (piccoli o grandi), è inutile soffermarsi per due ragioni. La prima è che risulterebbe difficile evitare spoiler e anticipazioni sgradite allo spettatore che attende questo cult da più di due decenni. L’altro, è che dai grovigli della mente di von Trier è molto complicato uscirne vincitori. La sfida di una sinossi, per l’ingenuo e impavido redattore, sarebbe comunque persa.