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L’attrice ha ricevuto il Wif Max Mara face of the future award, il premio del marchio italiano per promuovere l’empowerment femminile nel grande cinema internazionale
LOS ANGELES
Si è fatta spazio tra le stelle ma non vuol essere chiamata star: «Odio quella parola. Sarà la sindrome dell’impostore, ma detesto l’idea di una gerarchia d’importanza tra le persone». Incontriamo l’attrice americana Lili Reinhart poco prima di vederla arrivare al Beverly Hilton Hotel di Los Angeles, giovedì 27 ottobre, per ricevere il Wif Max Mara face of the future award. Premio che il marchio di moda italiana assegna ogni anno dal 2006 nel corso dei Women in film awards, voluto per promuovere la carriera delle donne che lavorano ed eccellono nel settore cinematografico.
Il premio si inserisce in un disegnopiù ampio di promozione del
women empowerment del brand: «Come già il Max Mara art prize, questo riconoscimento è legato alle due leve che muovono ogni nostro progetto di mecenatismo: la promozione dell’arte in ogni sua espressione e la formazione. Il più grande regalo che puoi fare a una donna, oggi, per garantirle libertà ». A parlare è Maria Giulia Prezioso Maramotti, terza generazione della famiglia proprietaria di Max Mara, che sale sul palco illuminato di rosa per consegnare il premio nelle mani di Lili Reinhart, vestita con un due pezzi Resort. «A volte le collaborazioni con la moda sono poco sincere, indossi qualcosa che non è nel tuo stile perché devi farlo per lavoro, nei loro capi invece mi sento me stessa. E questo penso sia fantastico » dice Reinhart. E il link tra l’attrice e il brand va oltre la moda e tocca il tema dell’affermazione femminile.
Dal 2017 a oggi, Lili Reinhart ha saputo conquistare una platea più ampia di quella che la seguiva nel ruolo di Betty Cooper nel teen drama Riverdale , su Netflix, diventando attivista in materia di accettazione e un modello per la Gen Z. «Non è qualcosa che ho scelto», spiega con un fare consapevoleche stupisce, perché a soli 26 anni sembra perfettamente a suo agio con sé stessa. «Non ho iniziato a fare l’attrice pensando che sarei diventata paladina della body positivity o della salute mentale. Il fatto è che quando hanno iniziato a intervistarmi ho detto tutto di me, incluso che soffro di ansia e depressione e combatto contro l’acne da quando sono ragazzina. Recito per vivere, quindi lontano dal set non so fingere. Voglio che le persone possano vedermi per quel che sono, non attraverso i personaggi che interpreto». Oltre a fare dell’ammissione delle proprie fragilità un punto di forza, Reinhart ha deciso di creare una casa di produzione tutta sua, la Small Victory Productions, per poter sviluppare contenuti che celebrino diversità e inclusività senza sottostare alle regole degli studios: «Vorrei raccontare storie di donne complicate». Lei lo è? «Sono un libro aperto, e questo spesso è un problema».
Di recente Lili è stata bersaglio deglih aters per aver criticato una collega colpevole di promuovere la “cultura tossica delle diete” quando ha ammesso di aver patito la fame pur di entrare nell’abito appartenuto a Marilyn Monroe, che ha indossato al Met Gala. Si trattava ovviamente di Kim Kardashian, anche se lei il nome non lo ha mai fatto. «Puoi fare quel che vuoi – spiega – ma se hai milioni di follower non puoi mandare un messaggio così malsano. Non sentirsi giusta per un abito rimanda a un modo sbagliato di giudicare il corpo», dice. La ragazza è coraggiosa, eppure ammette che vedere il proprio nome in trend su Twitter è stata l’esperienza più spaventosa della sua vita: «Anche se hai 100 like e due commenti cattivi, sono questi che ricorderai. Dopo quella storia ho chiuso con i social per un po’, schiacciata dalla negatività. Ma alla fine, quando dico qualcosa in cui credo, non me ne pento».
Al Met Gala Lili è stata invitata: «Non me lo aspettavo, ne sono felice. È una bellissima celebrazione dell’arte e della moda. Quel che non mi piace è vedere celebrities comportarsi di m… e cavarsela perché si nascondono dietro la loro fama». Anche se Reinhart spiega che con MeToo e Black lives matter molto è cambiato: «Non si ha più paura di parlare; io sento di doverlo fare per dire che il mondo del cinema non è sano. Considero un privilegio farne parte, ma sollevare certi temi serve a far sì che le persone smettano di guardare agli attori come a degli intoccabili. Durante una visita al Colosseo, ho sentito la guida dire che nell’antica Roma eravamo considerati meno delle prostitute; è bene ricordare da dove veniamo».
Nel suo caso si tratta dell’Ohio e un premio come il 2022 Wif Max Mara face of the future non fa che accrescere la sua influenza: «Se penso a Lili, la prima parola che mi viene in mente è pragmatica», dice ancora Maramotti. «Una donna che ha ben chiaro quali siano i valori in cui crede e come portarli a terra. Questa concretezza, assieme al suo farsi attivista in materia di accettazione, ci hanno portato a scegliere proprio lei. Il capo che interpreta meglio? La giacca, unpassepartout per la donna di successo, lì dove con questa espressione intendo una donna che semplicemente ha avuto quello che voleva. Proprio come Lili».