IL POLITTICO DI PIERO, RITORNO ALLE ORIGINI
31 Marzo 2024Idee per capire il presente
31 Marzo 2024
di Anna Chiara Sacchi
La stanza del pensiero è immersa in un blu profondo. Il pavimento è un mare increspato. Le pareti — alte quattro metri e mezzo, composte da grandi mezze colonne — formano un rigido (ma sinuoso) sipario che al tatto sembra velluto (ovviamente). Solo la grande sedia centrale è in legno. Da qui, con un’immersione nel silenzio e nella profondità cobalto, inizia il viaggio che David Lynch ha immaginato per il Salone del Mobile di Milano: una Thinking Room dove liberare l’immaginazione. I lavori sono in corso, una quarantina di persone sta realizzando, dipingendo, assemblando i pezzi che comporranno il nuovo sogno (inquietante) del regista dell’inconscio, l’americano nato a Missoula, Montana, nel 1946. «La Lettura» ha visitato il suo cantiere.
Strada Statale del Sempione, laboratori Arianese, i capannoni delle meraviglie che esaudiscono ogni visione, desiderio, capriccio di registi e scenografi (per la Scala, l’Opéra di Parigi, di Roma, l’elenco è lunghissimo…). Qui sta prendendo forma Interiors by David Lynch. A Thinking Room, l’installazione che il Salone del Mobile dal 16 al 21 aprile regala ai suoi visitatori nei padiglioni 5 e 7 della Fiera di Rho (cura l’intero progetto Antonio Monda). Due stanze oniriche identiche (anche per arginare l’inevitabile assalto, si attendono code) che il maestro del cinema ha disegnato — è un appassionato creatore e costruttore di mobili — e affidato per la realizzazione al Piccolo Teatro di Milano. «Lavorare con un teatro è stata una sua specifica richiesta — spiega lo scenografo Paolo Di Benedetto, dell’ufficio tecnico del Piccolo —: a dicembre abbiamo ricevuto i suoi schizzi e iniziato a immaginare la messa in opera». Da quel momento, poco prima di Natale, è partito il ponte Milano – Los Angeles: riunioni via Zoom «con il maestro e il suo assistente, Michael», spedizioni «fisiche» di materiali e campioni di colore — «alla fine ha scelto il blu Ral 5130» —, scambi di mail e idee, lunghi confronti sui dettagli, a partire dalle piccole sculture dorate a forma di fiammella che il cineasta ha realizzato con le sue mani e che andranno a decorare le finestre incastonate nelle pareti della camera blu. Ma ecco il risultato come lo vedranno e lo vivranno i cinefili del Salone.
Le luci dei padiglioni, gli stand, la ressa. Cucine, bagni, armadi, eventi negli stand dei più noti marchi di design. Sembra impossibile che nel tempio della concretezza, il Salone del Mobile con i suoi 300 mila ingressi attesi, sorga uno spazio (doppio) di riflessione. Di sogno. Eppure è così: un’oasi di pensiero nell’epicentro dell’evento fieristico più importante dell’anno. Al progetto ci si avvicina gradualmente: un grande guscio rotondo e rosso (l’allestimento esterno è dello studio Lombardini22) contiene la stanza. Ma prima di accedere alla Thinking Room, un «vellutato» spazio intermedio accoglie i visitatori in attesa. Un portale, finalmente si entra: 60 metri quadrati semibui (la luce filtra, impercettibile, dal soffitto in lamiera piegata e tubi dorati), blu, dove regna il silenzio. Alle pareti si notano uno specchio rotondo e quattro «finestre» incorniciate da tacche di (finto) avorio bianco e nero. Contengono, sospese dentro le nicchie ricavate nel sipario, tre immagini retroilluminate, ad altissima definizione — un’industria, un quarto di bue, una scena di folla — e un orologio digitale (non proprio rassicurante) che segna l’ora esatta. Ci si può sbizzarrire con le interpretazioni — uno stimolo per il subconscio, un messaggio preciso, una provocazione — ma il mistero resta. O forse è solo la firma di David Lynch, signore dell’onirico che non ha senso cercare di capire con la logica cartesiana. Soprattutto quando il regista si fa particolarmente sibillino come in questo caso. O forse ironico. Per commentare l’installazione, Lynch (Palma d’oro, Leone d’oro, Oscar alla carriera tra gli innumerevoli riconoscimenti) ha affidato al Salone del Mobile questa frase: «È una cosa bella pensare anche solo di immaginare una stanza del pensiero. Una stanza favorevole al pensiero».
E allora non resta che godersi il blu della Thinking Room, con le sue immagini enigmatiche — come i protagonisti delle pellicole di Lynch — seduti sulla sedia centrale, quella che il regista, nei colloqui con il team italiano, ha chiamato Big comfortable chair: una volta accomodato (il cuscino è morbido, il resto è in legno) il visitatore sarà chiamato a reagire a quello che vede. Come? Avrà a disposizione un tavolinetto, parte integrante del bracciolo destro della maxipoltrona e, nel bracciolo di sinistra, un contenitore con pennelli, matite, inchiostro per fissare su carta — ecco la Thinking Room — i propri pensieri. L’esperienza si fa più perturbante: la sedia è inserita in un grande trono di legno che ha sulla testa sette punti di collegamento a ventuno cilindri dorati (forse un indizio che porta alla meditazione trascendentale, presente nella vita e nel processo creativo del regista?). A quel punto sarà davvero come entrare in un film di Lynch, in uno dei suoi ambienti inquietanti. Ma in modo esclusivo, e personalissimo. «Una stanza in cui sentirsi liberi di immaginare».
A Pero si corre. Martelli, seghe, pialle. La carta (ignifuga) che deve rivestire le colonne-sipario viene dipinta di blu, litri e litri di blu. Sopra questo primo strato, gli artigiani del laboratorio guidato dai fratelli Francesco e Martino Arianese applicano a mano una schiuma poliuretanica per rendere materica la superficie. A questa aggiungono «strollate» (strollare è il gesto che si fa per lanciare dal pennello gocce di colore su una superficie) di un blu leggermente diverso da quello sottostante. Chiude l’operazione una finitura opaca «che dà l’effetto vellutato richiesto» (anche se tutti nel cantiere giurano: «Il maestro non ha mai accostato la parola blue a velvet», abbinamento che richiama il celebre film del 1986 con Isabella Rossellini, Dennis Hopper, Laura Dern). La falegnameria è alle prese con la sedia-trono, il soffitto in lamiere va ancora forato per inserire le invisibili lampadine al suo interno e colorato in oro e in rosso.
Martedì 2 aprile i camion inizieranno a trasportare dai laboratori Arianese fino alla Fiera — sono 300 metri in linea d’aria ma l’operazione è delicatissima — tutto il materiale che compone la Thinking Room: comincia il montaggio. L’emozione sale, anche perché a quel punto è questione davvero di una manciata di giorni. Nel weekend che precede la manifestazione un video mostrerà al regista (che non sarà presente all’inaugurazione) il risultato definitivo del progetto. «Con tutti i dettagli». Poi bisognerà pensare alle regole, agli orari e agli ingressi: quante persone entrano, per quanti minuti i visitatori potranno fermarsi all’interno della camera, come garantire il perfetto funzionamento di una macchina così sofisticata.
Un lavoro mastodontico: anche solo posare la carta blu sulle colonne incollandola sul legno richiede concentrazione e molto tempo. Di Benedetto (con lui Alice De Bortoli e Francesca Pedrotti) mantiene la calma: «Siamo abituati a lavorare sotto pressione». Tanto più che Lynch, spiega, è un «interlocutore incredibilmente gentile: non c’è stato un attimo di tensione tra noi, ha avuto per tutta la squadra parole di profonda stima. Dai suoi primi disegni a mano abbiamo subito capito l’atmosfera che voleva ricreare. Si è instaurata molto presto una fruttuosa sintonia». Per rispondere alle aspettative dell’ideatore, del committente, del pubblico. E rendere tangibile «quel flusso di energia che dalla poltrona si muove verso l’assoluto».
Una Wunderkammer (anzi due) inedita e potente dove non ci saranno suoni, come ha voluto, dopo lunghi ripensamenti, il regista (a proposito di riflessioni, nonostante il suo amore per la meditazione, Lynch ha precisato che si tratta di una Thinking Room, non di una Meditation Room). Solo il silenzio. E il blu. Maria Porro, la presidente del Salone del Mobile appassionata di cinema («appena mi hanno proposto il nome di Lynch ho subito accettato»), parla di sinestesia, di sfere sensoriali diverse che si incontrano. «Lynch — dice — ci fa entrare nel suo mondo. È un’operazione molto interessante soprattutto per noi che ci occupiamo di design: le sue sono anche storie di luoghi che ispirano, che lanciano messaggi, suggeriscono. Il suo contributo aggiunge un tassello importante al tema della casa».
Due «piccole» stanze da 60 metri quadrati ciascuna «inglobate» nei 170 mila metri quadrati della Fiera, circa dieci piazze del Duomo, per intendersi. «Anche questo elemento — conclude Maria Porro — ho apprezzato del progetto di Lynch, che con noi è stato davvero generoso: il sapere costruire un racconto usando piccole proporzioni, concentrando in superfici ridotte incredibili visioni, pensando in grande uno spazio piccolo. Nella storia dell’architettura del resto ci sono molti esempi simili: penso alla Cappella Rothko a Houston in Texas, o alle inaspettate soluzioni trovate da Charlotte Perriand».
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