L’intervista all’ex presidente francese
di Anais Ginori
PARIGI — «La Francia deve sostenere la difesa di Israele ma ora è necessario un cessate-il-fuoco per evitare un’escalation nella regione» dice François Hollande, all’Eliseo quando partirono gli accordi sul nucleare con Iran. «Già allora Netanyahu diceva già che se l’Iran avesse avuto armi nucleari, l’avrebbe attaccato» ricorda l’ex presidente socialista tornato al centro dei giochi politici. Hollande siede di nuovo in Parlamento dopo aver deciso di candidarsi a sorpresa alle legislative di luglio. E punta a ricostruire una gauche di governo, emancipata dell’estremismo di Jean-Luc Mélenchon di cui denuncia la strumentalizzazione della causa palestinese: «È inaccettabile questa posizione anti-Israele per scopi elettorali interni».
Emmanuel Macron ha parlato di fornire aiuto militare a Israele. Fino a che punto deve spingersi la Francia?
«La Francia, come altri paesi, ha espresso il suo sostegno a Israele, attaccato con dei missili dall’Iran. Ma credo che il nostro ruolo sia mostrare solidarietà con Israele ma anche garantire che cessi la sua operazione contro Hezbollah nel Sud del Libano e che si possa raggiungere un accordo di cessate il fuoco a Gaza».
Il governo Netanyahu ha superato una difesa legittima e proporzionata dopo i pogrom del 7 ottobre?
«La responsabilità principale è di Hamas, che ha scatenato gli attacchi del 7 ottobre. Poi è vero cheNetanyahu è andato oltre a quanto ci si aspettava, con un’operazione militare che va avanti da un anno, con bombardamenti pesanti. Quindi anche lui è responsabile. Ma mentre noi cercavamo di fare pressione su Netanyahu, Hezbollah inviava razzi nel Nord di Israele. Naturalmente la reazione del governo di Netanyahu è eccessiva. Ma ogni volta sono Hamas o Hezbollah a provocare».
Il dibattito sul sostegno a Israele tormenta le sinistre di tutto l’Occidente.
«In Francia la situazione è forse particolare. Una parte della sinistra, gli Insoumis, ne fa una lotta identitaria. Dobbiamo difendere la causa palestinese per ragioni di diritto internazionale, ribadendo la necessità della creazione di due Stati. In Francia vediamo invece un partito che ha assunto una linea totalmente anti-Israele».
Quella di Mélenchon è una linea antisemita?
«Non direi antisemita, ma anti-Israele. Alcune delle critiche a Netanyahu di esponenti della sinistra sono condivisibili, ma è inaccettabile essere così anti-Israele per motivi elettorali, cioè per cercare di catturare i voti dei quartieri popolari in Francia dove ci sono molti musulmani».
Il problema è capire anche fin dove arriverà l’Iran.
«Credo che l’Iran abbia davanti un dilemma. Non può più limitarsi solo a sostenere Hezbollah e Hamas, ora è obbligato a reagire, viste le umiliazioni inflitte ai suoi due proxy.
Ma nel regime di Teheran ci sono sensibilità diverse. C’è chi vuole tornare alla situazione in cui c’era un accordo nucleare e in cui l’Iran poteva giocare un ruolo nella regione, e così riconquistare unospazio commerciale ed economico.
C’è un’altra parte del regime molto più bellicosa».
L’obiettivo di Netanyahu è scatenare una guerra con l’I ran?
«Forse ce l’ha in testa, ma noi invece non dobbiamo nemmeno pensarci. È quello che volevamo evitare quando abbiamo firmato l’accordo sul nucleare. Non possiamo andare incontro a una guerra che infiammerebbe l’intera regione, scatenando la solidarietà prima degli sciiti e poi forse dei musulmani. Non sono poi sicuro che Israele sarebbe in grado di vincere. L’Iran è un Paese di 80 milioni di persone, con notevoli risorse tecnologiche. Non è Hamas».
Vista la crisi politica in Francia, quale pensa sia la reale capacità di Macron di pesare?
«Non credo che la situazione interna possa indebolire l’azione diplomatica della Francia. Il problema dell’Europa è che oggi nessuno ha una vera influenza, tranne gli Usa. Ma per quanto? Netanyahu cercherà di accelerare nella speranza che Trump venga eletto. Il Regno Unito ha riacquistato un po’ di margine di manovra. La Germania è praticamente fuori dai giochi. La Spagna ha riconosciuto lo Stato palestinese: questo ha permesso la visita del presidente dell’Autorità palestinese, ma non ha cambiato molto. Il governo di Giorgia Meloni è totalmente allineato con Netanyahu anche se questa non è la posizione tradizionale dell’Italia».
La coalizione Nuovo Fronte Popolare ha mostrato i suoi limiti.
Lei vuole ricostruire una sinistra socialdemocratica?
«Lo spazio politico c’è attraverso l’esplosione della maggioranza di Macron e l’eccessivo radicalismo di Mélenchon. Ma con maggioritario alle legislative, l’alleanza con gli ecologisti e persino con gli Insoumis rimane necessaria. Lo è meno per le presidenziali. Mélenchon vorrà essere candidato. La gauche socialista e socialdemocratica deve trovare un’altra incarnazione se vuole raggiungere il secondo turno».