Sette Paesi del Sahel si coalizzano per fermare il terrorismo jihadista nel Golfo di Guinea: assente il Mali
28 Novembre 2022La vera apocalisse arriverà con il crollo di Internet
28 Novembre 2022Il difetto d’origine del Pd è quello di essere stato una mera sovrapposizione dei percorsi ideali delle varie sinistre laiche e cattoliche che hanno attraversato il Novecento, e che, tuttavia, si è tradotto, come ho sostenuto fin dall’origine, in una fusione a freddo di apparati. E ciò ha trasformato la legittima presenza di diverse sensibilità culturali in una deleteria contrapposizione tra cordate di potere autoreferenziali.Le correnti interne perdono il loro valore virtuoso se non concordano sui “fondamentali”, cioè sulla comune identità, l’unica che giustifica l’esistenza stessa di un partito.
Nella ricerca dell’identità, si dovrebbero tener presenti entrambe le esigenze, quella di farla rinascere in un mondo e in una società totalmente cambiati e quella di inverare, invece di smarrirli, i valori originari della storia della sinistra italiana. Ed è proprio il richiamo ai valori originali che, a mio avviso, dovrebbe spingere la sinistra a considerare come presupposto della propria identità il fatto che se in una democrazia la libertà non coincide con l’uguaglianza di tutti gli esseri umani non basta dirsi democratici. Questo presupposto ci consiglia di porre al centro della missione storica di tutte le sinistre il tema dell’uguaglianza e quindi di una giustizia sociale che muove decisamente nella direzione della redistribuzione strutturale, e non meramente assistenziale, della ricchezza, delle pari opportunità e del sapere.
Qui stanno le radici della parola socialismo. Tutto il problema teorico consiste nel significato che esse dovrebbero assumere nel cosiddetto post-moderno e nelle società del “capitalismo della sorveglianza”. Il che comporta, tra le altre cose, la capacità di vedere che se l’aspirazione a una società diversa, alla fine dell’Ottocento, si collocava esclusivamente al centro del conflitto di classe, ora si viene caratterizzando anche come risoluzione di quel rapporto sempre più problematico tra uomo e natura che spinge i giovanissimi, ancor prima dei potenti della Terra, verso una maggiore consapevolezza delle interdipendenze globali. Dobbiamo farcene una ragione: la stranezza del momento non è che la destra abbia deciso di fare la destra, ma sta nel fatto che non esiste una sinistra capace di decidere di fare la sinistra. Invece di abbandonarsi alla stravagante aspirazione di fare di Giorgia Meloni una draghiana sarebbe più proficuo, se si vogliono mutare i rapporti di forza nella società e non solo nel Palazzo, contrapporre a quelli che noi consideriamo i disvalori della destra una battaglia culturale di massa su valori contrapposti, volti ad aprire una fase della vicenda umana capace di mutare sensibilmente il rapporto tra individualismo e solidarietà, tra individuo e comunità, dove la competizione selvaggia, il bullismo sociale del successo, e l’ideologia rapace dei winners lasciano il posto a una più alta, e al tempo stesso più umile, percezione del destino degli umani. Tutto ciò comporta una battaglia permanente, e non solo poetico- retorica, per il mutamento dell’attuale modello di sviluppo e della qualità della crescita dentro un orizzonte che non nega la possibilità di “società altre”, comunque le si voglia chiamare.
E basta con la facile litania che bisogna ritornare a parlare agli ultimi, che occorre ritornare nei territori! Queste sono condizioni necessarie ma non sufficienti. Bisogna sapere che cosa si va a dire nei territori senza voler imitare il populismo di destra. La sinistra ha un compito più difficile della destra nel parlare in modo semplice e chiaro alle persone perché non può permettersi di saltare a piè pari la complessità. Si tratta di saper coniugare la ragione con il sentimento. E l’unico modo per farlo sta nella coerenza dei comportamenti ritornando a scaldare i cuori con l’utopia del possibile.
È connaturato all’essere umano il desiderio di un orizzonte entro cui collocare i piccoli passi del riformismo, il bisogno di una idea di futuro dentro cui guardare alla dura realtà del presente. Se così non fosse non si spiegherebbe perché miliardi di esseri umani si affidano alle religioni. Il mero pragmatismo è una lobotomia dell’anima, èc ontro natura. Per questo si sente ancora la necessità di una religio laica, nel significato etimologico della parola. Parlo di una utopia del possibile in un contesto in cui i contrasti sociali, figli della sempre più desolante diseguaglianza, non si appannano, ma assumono forme nuove nel quadro di, prima ignote, contraddizioni universali, che concorrono a disvelare l’incapacità congenita del solo mercato a risolvere la complessità del corto circuito che colloca guerra, strutturali migrazioni bibliche e catastrofe ambientale sull’orlo di un unico abisso. Dentro a questo arco di problemi ci stanno le bollette, il carovita e la necessità di porre fine alla guerra con un nuovo ordine mondiale fondato su una comune sicurezza condivisa. Tema, questo, che il cosiddetto occidente non ha saputo, o voluto, porre dopo il crollo del Muro di Berlino.
Allora la sinistra, invece di limitarsi a reagire di risulta all’agenda impostaci dalla destra, dovrebbe fare la mossa del cavallo, cambiare il terreno di gioco e partire dall’alto dell’universale per “salire” al concreto. Il che significa combatterei nazionalismi indicando la strada di un rinnovato mondialismo, nel fuoco di una azione permanente per riformare una Unione Europea aggredita dal tarlo del suo stesso nazionalismo interno, per riattivare l’Onu, abolire il diritto di veto, riconsegnare alle Nazioni Unite i poteri di intervento nelle crisi già previsti dalla Carta fondativa e mai implementati, per affidare all’Onu stessa, come è avvenuto per lo Stato dentro i confini delle nazioni, il “monopolio della forza” per ciò che concerne il rispetto della legalità internazionale, sottraendo tale funzione alle “alleanze militari”, eliminando alle radici il ricatto atomico con la messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa e muovendo verso il disarmo bilanciato. In buona sostanza occorre che il Pianeta si faccia sistema attraverso una grande sinergia delle immense risorse scientifiche e tecnologiche di cui dispone e colpevolmente gettate nell’inceneritore sanguinario della criminale guerra di Putin. E tutto ciò per concentrare le forze contro il principale nemico della nostra sicurezza: la possibile distruzione del Pianeta. È desolante vedere come tutto il dibattito in corso si racchiude, in modo unilaterale, dentro l’asfittica divisione tra chi ha riscoperto i poveri in modo rapsodico e declamatorio e chi si presenta come fautore di un indistinto sviluppo. Il destino stesso dei poveri è legato alla visione complessiva, nazionale e internazionale, delle società. Viviamo in un mondo a due facce: quella di disumanizzanti arretratezze, di bestiali condizioni di vita e quella di folgoranti espressioni di una modernità che ci proiettano verso l’ignoto di un avvenire di cui non conosciamo ancora i contorni. La debolezza principale dell’attuale riformismo sta proprio nella incapacità di vedere il doppio volto della modernità. Cioè di saper guardare contemporaneamente al ritorno del “caporalato” e alla “banda larga”. Si tratta di perseguire l’obiettivo della socializzazione dell’intelligenza scientifica. Di spalmarne i frutti su tutta la società. Di colpire al cuore l’appropriazione privatista e incontrollata dei frutti dell’intelligenza sociale complessiva.
Qui nasce l’attuale baratro della diseguaglianza. Che può essere colmato solo da una sintesi alta tra questione sociale e questione ambientale nella direzione dell’ecosocialismo, collocando in un’unica prospettiva “ecologia, lavoro e giustizia sociale”. Diritti sociali e diritti civili, non più contrapposti. Il che significa avere, con la passione di una politica umana e non tecnocratica, la stessa empatia verso i “diversi” e i migranti e verso gli invisibili, i nuovi schiavi e gli sfruttati in Italia. Dimostrando nel modo più semplice possibile che gli uni non sostituiscono gli altri. Queste sono solo alcune considerazioni che mi fanno dire che il dramma della sinistra non si risolve tutto dentro il Pd. Che sarebbe necessaria, anche dopo l’elezione del nuovo segretario, una Costituente vera, aperta a tutte le sinistre democratiche e a tutti i volenterosi della società civile. Per una rifondazione, un “nuovo inizio”. Con la consapevolezza che solo nell’attenzione verso la “cittadinanza attiva” sta il “sale della terra” della rinascita.