Costituzione quanti anni veramente hai? 75 anni fa veniva promulgata la nostra Costituzione dall’allora Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, pubblicata sempre il 27 dicembre nella Gazzetta di edizione straordinaria n. 298. Evidente che l’Assemblea costituente, presieduta da Umberto Terracini, affrontava l’ardua sfida di proporre — all’indomani della devastazione italiana e della guerra mondiale — un articolato impianto che potesse restituire all’Italia dignità di nazione e di popolo.
Come cittadina e come presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane desidero offrire una riflessione sul significato di questa sfida per il domani dei nostri figli e dell’Italia nel suo insieme. Un domani che è impossibile scegliere e assicurare se non si fa chiarezza sul passato e sul significato che oggi continuano ad avere le norme nel loro insieme, sul concetto di memoria collettiva, sostanzialità dei diritti e principio di legalità. Quello che traspare dalla Costituzione è un insieme di valori che oggi ci appaiono “ovvi” e irrinunciabili. Per me gli enunciati e le disposizioni prescrittive non sono solo una rivendicazione scritta con la penna sanguinante del Dopoguerra, ma sono la traccia del millenario pensiero ebraico, di fondamenti biblici che si rivolgono tanto al singolo cittadino quanto a chi governa, al magistrato come al reo, al datore di lavoro quanto al contribuente, al genitore e all’educatore, a chi è chiamato a difendere confini e di monito a chi progetta massacri.
Tracce di sapere antico e condiviso nei secoli che nell’alternanza tra sovranità, persecuzione e isolamento ha tramandato l’imperativo della memoria che assicura tutela allo straniero, cura degli emarginati e rispetto ai disabili, che responsabilizza l’uomo per la cura dell’ambiente e il bene anche degli animali. Queste palpitazioni di pensiero ebraico leggo nella Carta costituzionale che proprio per questo mi sta così a cuore e l’ovvietà non può tradursi nell’indifferenza o nella selettività dei moniti e delle responsabilità. Nell’anniversario dei 75 anni dalla promulgazione di quel testo che respiriamo e consideriamo alla base del nostro sistema di vita privata e pubblica ci dobbiamo interrogare su cosa è maturato e consolidato, cosa invece è ancora inafferrato o mal proposto. Anzitutto in merito al principio di legalità e il perimetro di quella sovranità che il popolo è chiamato ad esercitare nei limiti della Costituzione. Legalità oggi, con riferimento alle libertà costituzionali, significa l’uso e non l’abuso della norma costituzionale, avendo ben chiara la genesi di queste disposizioni. Libertà di parola, di manifestazione, di stampa, di associazione sono la risposta al totalitarismo e al fascismo che ha soffocato l’Italia. Non sono libertà riacquistate per assegnare oggi presidi di potere sconfinato e strumento per diffondere odio e discriminazione, distorsione della verità e falsi nemici. Se eguaglianza e libertà furono negate 85 anni fa ai cittadini italiani di religione ebraica con la decretazione d’urgenza e la persecuzione legalizzata va chiarito che questo è stato solo l’apice delle nefandezze del regime fascista.
La condanna delle leggi razziali come male assoluto che abbiamo ascoltato in questi giorni con grande attenzione non può essere selettiva e avulsa dalla considerazione di ciò che il regime fascista ha compiuto nell’intero ventennio e dal primo giorno in cui gli furono affidati i “pieni poteri”.
La condanna che attendo di ascoltare — se di legalità e di principi costituzionali si vuole vivere e governare — è del fascismo nel suo insieme fino alla sua formale caduta, così come di chi ne ha cercato la disperata sopravvivenza: prima con la Repubblica di Salò, poi nelle nicchie dell’amnistia concessa nel ’46, che non ha solo impedito ai responsabili di crimini fascisti (che oggi definiremmo con la medesima ovvietà crimini contro l’umanità) di non essere chiamati a processo, ma anche consentito ad autorevoli personaggi di primo piano del regime fascista di riciclarsi nel sistema democratico, raggiungendo in alcuni casi ruoli apicali di primissimo piano istituzionale. La condanna che attendo è quella di un regime — con il suo Duce, i suoi motti propagandistici, le sue opere glorificanti e simboli — al quale oggi in molti — singoli e aggregati di vario genere — esprimono nostalgia e desiderio di ritorno, dimenticando che quel male eccentrico ha devastato non solo dal ’38 in poi quell’1 per mille di cittadini ebrei, ma l’intero popolo italiano, con le stragi nazi-fasciste le cui tonnellate di fascicoli secretati, ancora oggi, dopo 75 anni restano in attesa di risposte.
Anche gli storici e i giuristi esperti offriranno oggi una significativa lettura di questo anniversario che si accosta all’avvio di un anno che sarà scandito da anniversari, eventi e cerimonie in nome di una Memoria collettiva. La mia vuole essere una semplice riflessione sull’origine dei valori che tutti siamo chiamati a difendere e un accorato invito alla coerenza.
L’autrice è presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane