“Il mio cadavere sarà pieno di impronte digitali. Questo lo si sa”, spiega all’amico mentre con una mano respinge infastidito il menu. Ma l’amico del ministro, col tono di chi conosce più della politica il quid di questo ristorante sull’Aurelia antica, periferia verde e silenziosa della Capitale, avanza la propria riflessione: “Cacio e pepe?”.
Tra le disgrazie che stanno capitando ad Alessandro Giuli, ministro della Cultura esposto al fuoco della destra di governo (e di opposizione), era rimasta colpevolmente esclusa quella che ci rammenta un principio costituente del passaparola: anche i muri ascoltano. I muri che segnano i confini dei cosiddetti privè, comfort zone dei potenti in incognito, hanno in effetti la bocca larga quanto quella delle rane.
“Le Iene sono venute sotto casa. Hanno spaventato la mia bimba che era alla finestra e mi ha chiesto: papà perché hai litigato con quel signore? Così no, così non è vita e non è giusto. Volete che prenda cappello e lasci la poltrona?”. L’amico, con tono compassionevole: “Ordiniamo e poi mi dici”. Lui: “Stavo così bene al Maxxi e l’ultima cosa che pensavo era di sostituire Sangiuliano al quale anzi tutte le volte che ho potuto ho dato una mano, ho offerto un consiglio che ritenevo utile, ho agevolato la soluzione di un problema”. L’amico: “Ti vogliono costringere alle dimissioni, è chiaro”. Lui “Mica andrei via di notte? Mica pensano che mi dileguo con le tenebre?”.
Avrebbe già deciso, a quel che si sa, il passo dell’addio anticipato qualora il fuoco amico si facesse più insistente, più cattivo, più indigesto. Giuli non avrebbe una telecamera del Tg1 ma l’emiciclo del Parlamento al quale riferire quel che è successo. E sarebbe il principio del terremoto! Al solo evocare questa ipotesi, che pure oggi pare oggettivamente lontana, la preoccupazione di Sergio Mattarella si è infittita assai da metterlo in allarme. E Giorgia Meloni? Inquieta, stupìta, la descrivono “furiosa” per non riuscire a tenere a bada la sua ciurma, sempre più anarchica.
Quando Giuli ha lasciato il ristorante, l’amico l’ha salutato con un gesto di desolazione e con le parole di una resa imprevista e inimmaginabile fino a ieri, ma d’ora in avanti possibile, concreta, da mettere in conto: “Così frana tutto, cazzo!”.
Allerta, frana in arrivo. Non serve il servizio meteo perché in questo caso il cambiamento del clima interno al partito della destra italiana che si trova a dover gestire il 30 per cento dei voti e mille vite affamate di visibilità è un fatto certificato, ufficiale, definitivo.
È vero o falso che Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura, aveva proposto di confermare Giovanna Melandri, cioè il nome del Pd, al Maxxi, il museo romano nel quale è invece sbarcato Giuli prima di approdare al Collegio Romano? Ed è vero che quella proposta Mollicone l’aveva avanzata col solo proposito di stoppare Giuli? Ed è vero che Giambattista Fazzolari, il drone ex missino che sorveglia gli affari interni dei ministeri, ha scomunicato Giuli, puntandolo al cuore?
Nel garbuglio di odi e rancorose antipatie (che diciamo di Giovanni Donzelli contro Arianna Meloni, per esempio?) Alfredo Mantovano è riuscito almeno nell’armistizio. Che pare – stando a quel che trapela da Palazzo Chigi – sia stato così definito: Giuli conserva il titolo a proporre un nuovo nome per la poltrona di capo di gabinetto, dopo che ben due in poco più di due settimane sono finiti in bocca ai pescecani, ma non ha più l’assoluta certezza che quel nome sarà il prescelto. Punto.
Il ministro si era già sfogato giorni fa: “Non hanno capito che sono un socialista liberale di radice gentiliana (Giovanni Gentile, il filosofo teorico dell’idealismo, fu una figura di spicco del fascismo italiano ndr). Conserverò la mia identità e la mia autonomia, costi quel che costi. Non sono così moderno da essere omosessuale, mi tocca specificare anche questo? E non mi importa se tentano di ridicolizzarmi, di farmi divenire una presenza fissa nello show di Maurizio Crozza. Le mie parole che in Italia sembrano ora oscure oppure esoteriche, mi sono valse l’apprezzamento della Frankfurter Allgeimeine Zeitung (è un importante quotidiano tedesco, ndr) per il discorso fatto alla fiera del libro di Francoforte. Facciano pure ironia ma questa è la verità”.
La verità? È che non passa giorno che ci sia una nuova rivelazione, un colpo di teatro, una manciata di segreti da svelare, di cause da sostenere, di amicizie da conciliare. Dagospia rivela gli anni “leghisti” di Giuli, quando fu chiamato a redigere il programma politico della Lega. “Roba vecchia e soprattutto nulla di nuovo sotto il sole. Evidentemente D’Agostino ce l’ha con me”.
Sulla natura del sole delle Alpi in effetti Giuli fu chiamato a intervenire. Il Fatto, ricostruendo la vicenda, è in grado di delineare le sue dimensioni. La proposta di scrivere il programma culturale della Lega nel 2018 fu avanzata a lui da Giancarlo Giorgetti. Alessandro andò da Giorgia a comunicare l’offerta ricevuta e lei diede il consenso. La dimensione dell’entusiasmo per la prova assai ardita lo coinvolse a tal punto da esondare un po’. Arrivò a scrivere: “I nemici della Nazione hanno le ore contate. Il sole delle Alpi è il sigillo che lega l’Italia dei popoli e la salverà dalla sconfitta”. Il Giuli leghista piacque ai committenti padani e Matteo Salvini volle riceverlo e – immaginiamo – congratularsi per la bella prova. Gli venne addirittura proposta la candidatura in Parlamento. Troppo anche per chi, come Giuli, aveva sfidato il principio di gravità.