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Franceschini apre il fronte nel Pd Schlein trova sponde sulla sanità. I dubbi di Orlando sul referendum. Bonaccini media e loda le misure per la salute
Maria Teresa Meli
ROMA Dario Franceschini — il primo big del Pd a schierarsi a favore di Schlein nelle primarie, facendo pesare la forza della sua corrente in quella contesa — non seguirà l’esempio della segretaria sul referendum sul Jobs act: «No, non firmerò», dice al Corriere . Andrea Orlando, anche lui schieratosi con Schlein alle primarie, non ha ancora deciso: «Sto riflettendo se firmare. Francamente penso che i parlamentari, avendo altri strumenti, possano anche esimersi dal sottoscrivere questo referendum».
Matteo Orfini, che aveva parteggiato per Bonaccini, ma che negli ultimi tempi si è avvicinato alla segretaria, sceglie l’arma dell’ironia per criticare il fatto che la leader non abbia convocato prima una riunione ad hoc, perciò se gli si chiede se firmerà risponde così: «Io sono all’antica, immagino che ne discuteremo in Direzione dopo le Europee. Sa, sono obsoleto…». Una riunione forse ci sarà, ma intanto al Nazareno stanno già pensando di raccogliere le firme alle feste dell’Unità.
La segretaria infatti tiene il punto. Ieri è tornata a spiegare che la sua firma «non è una sorpresa». La leader non arretra e Bonaccini le dà una mano, suscitando i mal di pancia di quanti nella sua corrente lo vorrebbero un po’ più combattivo. Il presidente del Pd, intervistato a Tagadà, tesse gli elogi della proposta di legge sulla sanità di Schlein. Una proposta che ieri la leader ha rilanciato con forza: «Se Meloni vuole eliminare il problema delle liste d’attesa voti con noi questa legge». E Bonaccini, poco dopo: «È una proposta sacrosanta, per il nostro Paese sarebbe una rivoluzione». Poi il presidente dem difende la segretaria dagli attacchi di Renzi: «Noi non ci schiacciamo su proposte che vengono da altri, liberamente chi vuole può firmare». Renzi gli replica subito: «Stefanino deve tenersi buona Schlein per le Europee».
Bonaccini, a proposito del Jobs act, è convinto che «non si debba buttare il bambino con l’acqua sporca» e pone l’accento sulla priorità di altre battaglie del Pd, come quella sul salario minimo. Però non intende polemizzare con la segretaria in questa fase. «E forse mai», commenta un esponente della sua corrente. Del resto, sono in diversi nella minoranza a non essere d’accordo con la segretaria. Dice Pina Picierno: «Io non firmerò perché l’effetto del referendum sarebbe tornare alla Fornero e sul reintegro è già intervenuta la Consulta. Il lavoro è a rischio, ma non certo per la disciplina sul licenziamento». Anche Giorgio Gori non firmerà: «Sembra una cosa coerente con la storia politica di Schlein. Siccome firmare sarebbe totalmente incoerente con la mia storia politica, io sicuramente non firmerò. Penso che il Jobs act non abbia in alcun modo aumentato la precarietà che anzi è diminuita negli ultimi dieci anni». Un no secco alla firma da parte di Lia Quartapelle. Dario Nardella, invece, essendosi avvicinato a Schlein (e allontanatosi da Bonaccini) lascia uno spiraglio aperto: «Firmare? Ci sto pensando». Di tutt’altro tenore la dichiarazione di Alessandro Alfieri: «La Cgil poteva scegliere un momento diverso per presentare i quesiti referendari, anche perché molti aspetti del Jobs act sono stati corretti negli anni, altri sono rimasti inapplicati e altri ancora si sono dimostrati innovativi».