Una vita eremitica
Michela Marzano
«Egli mi si avvicinò a mia insaputa insinuandosi a poco a poco nel mio cuore ma a un tratto mi si rivelò. Fu un istante: io lo conobbi e lo amai, e in quell’istante, che concluse un lungo lavorio di mesi e forse di anni, si decisero le sorti della mia vita». La mia voce sa ancora di stelle è la raccolta dei diari scritti da Adriana Zarri tra il 1936 e il 1948. Teologa, scrittrice e giornalista, Adriana Zarri è una delle figure più importanti del cattolicesimo italiano contemporaneo, un’intellettuale scomoda e intransigente, esattamente come scomodi e intransigenti erano stati Primo Mazzolari, padre Turoldo e don Milani. Nata nel 1919 e morta nel 2010, Zarri ha segnato il suo tempo, non esitando mai né a scendere in piazza né a testimoniare con forza e grande coraggio la propria fede. Libera e ribelle, ha scritto numerosi saggi e ha collaborato con numerose testate giornalistiche. Ma quando le chiesero di definirsi si limitò a dire: «Sono semplicemente una che vive».
Con la pubblicazione a cura di Francesco Occhetto dei diari scritti da Zarri tra il 1936 e il 1948, la casa editrice Einaudi dà per la prima volta alle lettrici e ai lettori la possibilità di seguire la teologa negli anni in cui, prima adolescente, poi giovane donna, Adriana inizia a immergersi all’interno di un complesso travaglio esistenziale. I diari iniziano con il racconto di come si convertì tra i dodici e i tredici anni, dopo un’infanzia tutt’altro che serena e passata a lottare contro Dio anche a causa della morte di suo fratello: «Se fosse vissuto ci saremmo compresi tanto bene, le nostre anime si sarebbero fuse in una sola e io avrei potuto confidare a lui tutti i miei pensieri più intimi, certa di essere capita più che da qualsiasi altro». È Dio che all’improvviso colma i suoi vuoti e squarcia le tenebre del suo dolore, come mostra bene l’immagine del lampo usata da Zarri per raccontare il momento della rivelazione divina: una luce improvvisa che manifesta la presenza di Dio come una promessa inesauribile d’amore. Il Dio di Adriana Zarri, d’altronde, non è quello monolitico, geloso, possessivo e vendicativo dell’Antico Testamento. È il Dio fatto uomo e morto sulla croce, il Dio dell’amore e della pietà cristiana. Un Dio che colma e consola, che sazia la sete di bene e permette di trovare riparo: «Ti ho amato nella vastità dei cieli, nelle magnificenze del creato, nella bontà delle creature; ti ho amato negli indefiniti oggetti dei miei sogni, nella verità che ho sempre cercato, nella luce che ho sempre invocato; ti ho amato nella bellezza e nella bontà che mi hanno sempre rapita». Inizia quindi un lungo periodo di studio: la giovane Adriana sente l’esigenza di approfondire la propria conoscenza religiosa e di trovare il modo per esprimere al meglio la tensione tra vita attiva e vita contemplativa, che è poi la tensione che la caratterizzerà durante l’intero corso della sua esistenza. Come trovare il modo migliore per testimoniare l’amore divino? Che rapporto stabilire con le cose del mondo quando si anela all’infinito?
Zarri non ha mai smesso di lottare all’interno di sé stessa, dilaniata tra un’esigenza di perfezione che la porta a chiudersi e ad allontanarsi dalla banalità di ciò che la circonda e la ripugna, e il bisogno di abbandonarsi a Dio, che è il solo a sapere quale sia la sua meta, e lasciarlo fare, tra l’ansia di infinito e il bisogno di umiltà: «Annullarsi. Morire. La mia personalità così forte, così singolare sarà incatenata. E sia! Non potrò più esprimere ciò che mi canta dentro, non potrò più isolarmi e guardarmi nel cuore, non potrò più fuggire in cerca di bellezza: non potrò più essere io. Non importa: deve essere Dio». Il rapporto con l’invisibile è vissuto con tale profondità che, dopo essere entrata all’interno della Compagnia di San Paolo, Adriana Zarri sente il bisogno di uscirne, lasciandosi andare a una serie di esperienze contemplative che sottopone alla lente di ingrandimento di una scrittura millimetrica. È d’altronde solo nel momento in cui si immerge totalmente nella contemplazione che la teologa, come racconta nei diari redatti tra il 1947 e il 1948, trova spazi di pienezza e di pace. «Mi guardo e mi ascolto nell’equilibrio perfetto che Lui ha stabilito in me. Non mi manca nulla. Sono piena per la mia misura. È ancora una piccola misura ma perfettamente colmata, oggi». Per tutta la vita Adriana Zarri ha lottato per difendere le parole, uniche autentiche testimoni del rapporto intimo e diretto che la teologa ha sempre cercato di avere con Dio. È questo che emerge in ogni suo scritto, e che si ritrova in La mia voce sa ancora di stelle dove Zarri, con toni che ricordano alcune delle pagine più belle di Edith Stein o di Etty Hillesum, riesce a raccontare con finezza e grazia l’incessante cammino che compie ogni credente verso Dio.