DINO ZAMBARDA A 50 anni dalla strage parla il figlio dell’ultima vittima “Mio padre era andato a Brescia per fare le pratiche della sua pensione”
Francesca Del Vecchio
«Sono passati 50 anni, ormai ho perso la speranza di andare al fondo di questa storia. Forse la verità storica non la sapremo mai». Dino Zambarda è il figlio di Vittorio, l’ottava e ultima vittima della strage di piazza della Loggia, a Brescia. Quando suo padre morì, dopo 19 giorni in ospedale, Dino aveva 28 anni. Da allora, salvo rare eccezioni, preferisce apparire il meno possibile. Poche le sue interviste. Ancora meno le sue partecipazioni a eventi di commemorazione della strage. Oggi ha quasi 79 anni e sempre la stessa poca voglia di mostrarsi. «Non più di pochi minuti», ci tiene a precisare quando lo raggiungiamo al telefono. «Non me la sento di parlare molto di questa storia», ammette verso la fine della conversazione cercando di nascondere la commozione.
Signor Zambarda, oggi sono 50 anni da quel 28 maggio. Che sentimenti prova?
«Cosa vuole che provi. Dopo tutti questi anni, il dolore c’è tutti i giorni. Non solo in una data in particolare. Mi sento come gli altri giorni: ormai ho imparato a convivere con questa sofferenza e con la rassegnazione».
Rassegnazione per cosa?
«Per quella verità che tutti noi parenti delle vittime aspettiamo da troppo tempo e che forse non vedremo mai. Mi piacerebbe sapere chi è stato, chi ha piazzato materialmente quella bomba. Ma non ci spero più. Anche se, mi pare ci siano altre due persone coinvolte…».
Si riferisce ai due neofascisti di Ordine Nuovo Roberto Zorzi e Massimo Toffalone?
«Esatto. Ma chissà se arriveranno mai a un giudizio definitivo» (La data di inizio del processo, dopo numerosi rinvii, è fissata per dopodomani, 30 maggio, ndr).
Lei si ricorda di quei giorni del 1974?
«Come dimenticarlo. Mio padre era andato da poco in pensione. Quella mattina era a Brescia per perfezionare le pratiche. Io, invece, ero in Trentino per lavoro. Seppi quello che era accaduto dalla televisione. Partii immediatamente».
Riuscì a salutarlo?
«Quando arrivai, mio padre era già all’ospedale, insieme ad altre quattro persone rimaste coinvolte, i letti uno sopra l’altro perché la stanza era per due persone. Era ferito alla mano e alla gamba, con diversi tagli per le schegge. Io lo assistevo di notte. L’ultima volta che l’ho salutato era lucido. La mattina dopo mi hanno avvisato che non ce l’aveva fatta».
Oggi a Brescia per le commemorazioni ci sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lei parteciperà?
«Non l’ho mai fatto e non lo farò neanche quest’anno. Non amo molto apparire. Poi, ho quasi 80 anni… non guido e non saprei come fare ad arrivare in piazza a Brescia in auto, visto che è vietato. Starò a casa».
L’amministrazione l’aveva invitata?
«Certamente, come ogni anno. Ma non ce la faccio, sono anziano».
C’è un gesto privato che compirà oggi per onorare la memoria di suo padre?
«Io porto i fiori in memoria di mio padre 12 volte all’anno. Sia a Salò sia a Portese di San Felice dove era nato».
La destra che è al governo può in qualche modo, anche involontariamente, incoraggiare il ritorno di una certa violenza neofascista?
«Non mi piace parlare di politica ma se quello che vuole sapere è se torneranno le camicie nere, quello no. Non c’è nessun pericolo».