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6 Giugno 2022La regina Elisabetta II in questi giorni celebra i suoi 70 anni da capo dello stato. Al di là di corruzione e scandali, la monarchia serve a rinforzare la cultura della deferenza all’autorità. Anche per questo è incompatibile con i valori di una democrazia
La regina Elisabetta II, il monarca più longevo della storia britannica e il terzo in assoluto, ha celebrato il suo Giubileo di platino. I media e i politici dei principali partiti del Regno unito sono d’accordo sul fatto che, come ha affermato il leader laburista Keir Starmer, è «dovere patriottico» di ogni britannico celebrare l’occasione. In momenti come questi appare evidente che il più grande successo della monarchia britannica è aver radicato, al livello più alto dello stato, una cultura di lealtà e deferenza all’autorità. Questa cultura pervade la società britannica. Si manifesta nei pari non eletti che compongono la Camera dei Lord; nell’aristocrazia minore istruita a Eton che riempie i ranghi del Partito conservatore; nella pletora di premi dell’Ordine dell’Impero Britannico assegnati ogni anno dal capo di stato non eletto del Regno unito; nella promessa di fedeltà alla Corona, richiesta ai parlamentari prima di entrare in carica. Lungi dall’essere cascami folkloristici, gli elementi che accompagnano la monarchia rappresentano gli elementi più reazionari della cultura britannica.
Per i suoi servizi, la Corona percepisce una «sovvenzione sovrana annuale» (del valore di 86,3 milioni di sterline nel 2021-22), anche se non è chiaro se questo accordo sia finanziato in parte dalle proprietà della regina e/o dal contribuente. Nel marzo di quest’anno, il principe Andrew ha potuto permettersi di pagare un risarcimento di 12 milioni di sterline a Virginia Giuffre, una delle tante vittime del predatore sessuale miliardario Jeffery Epstein. Non è chiaro se questi soldi siano stati prelevati direttamente dalle casse pubbliche. Ciò che è stato indubbiamente finanziato dal contribuente è una parte delle cosiddette celebrazioni del Giubileo di platino che si svolgeranno in tutto il Regno unito in questi giorni. Il governo ha già speso 12 milioni di sterline per un libro «patriottico» commemorativo sui settant’anni di regno della regina. Mentre i parlamentari conservatori discutono se i bambini più poveri abbiano diritto ai pasti scolastici gratuiti, il libro verrà spedito a tutti gli alunni delle scuole primarie nel Regno unito.
Durante il peggior anno mai registrato per il tenore di vita, anche i consigli di tutto il Regno unito sono stati criticati per le spese sontuose mentre le famiglie faticano a mettere insieme i pasti. L’istituzione della monarchia è in preda a una serie di crisi esistenziali, queste celebrazioni sono un’opportunità di propaganda che non può permettersi di perdere.
La regina, dietro le quinte
Nel suo eccellente libro Running the Family Firm, Laura Clancy distingue tra le apparenze della monarchia «in scena» e il «dietro le quinte». Le rappresentazioni in prima fila dell’istituzione si compongono essenzialmente in pubbliche relazioni acrobatiche dalle quali la regina e i reali figurano come funzionari pubblici dediti a una vita di servizio. Il Giubileo di platino è un evento da manuale. Chiunque tenti di ricordare i fatti più spiacevoli sulla monarchia durante queste messe in scena è colpevole di rovinare l’atmosfera.
È dietro le quinte, tuttavia, che succedono davvero le cose. Dietro le quinte la monarchia incarna i peggiori eccessi di un’unica fusione britannica di clientela feudale e capitalismo. In definitiva, la monarchia, come sostiene Clancy, non è altro che «una facciata attraverso la quale i meccanismi di disuguaglianza sono mascherati e naturalizzati».
I difensori della monarchia spesso descrivono la regina come apolitica. È comprensibile, dato che all’interno di una democrazia la legittimità di un capo di stato non eletto si basa sulla sua distanza dalle macchinazioni del governo. L’anno scorso, tuttavia, il Guardian ha scritto che negli anni Settanta la regina aveva bloccato la legge in base alla quale avrebbe dovuto rivelare al pubblico l’entità della sua ricchezza. Questo patrimonio imprecisato non è bastato, purtroppo, a impedire al monarca britannico di chiedere l’accesso a un fondo riservato alle famiglie povere per aiutare a riscaldare Buckingham Palace nel 2004.
Anche altri reali hanno avuto strette collaborazioni con le rappresentanze di stato. Prima di essere pubblicamente associato a Jeffery Epstein, il principe Andrew ha lavorato per l’allora Department for Business, Innovation and Skills come rappresentante speciale per il commercio e gli investimenti internazionali. Si è dimesso da questa posizione nel 2011, in seguito ad accuse che sostenevano che stava lucrando personalmente dai suoi rapporti con oligarchi corrotti in Kazakistan. Nel 2015, il Guardian ha svelato una serie di «black spider memos» [i promemoria del ragno nero, così chiamati a causa della grafia di Carlo, Ndt] che il futuro re aveva inviato all’allora primo ministro Tony Blair. In essi, Carlo cercava di usare la sua influenza per interferire con la politica del governo e proteggere i suoi privilegi aristocratici.
Secondo alcune stime, il Duca di Cornovaglia (attualmente il principe Carlo in quanto figlio maggiore del monarca regnante) è il più grande proprietario terriero privato in Inghilterra. La quantità di terreno di proprietà del Ducato è effettivamente raddoppiata dall’epoca vittoriana, ma rimane al di fuori dell’ambito della maggior parte delle regole, a parte l’imposta sulle società e le richieste di libertà di informazione. Sebbene la regina paghi volontariamente le tasse sul suo reddito dal Ducato di Lancaster, la tenuta, che detiene milioni di sterline in investimenti alle Bermuda e alle Isole Cayman, è stata coinvolta nello scandalo dei Panama Papers. Forbes stima che il totale delle attività della monarchia nella regione sia di 22 miliardi di sterline. Nonostante ciò, la Corona cerca di pagare i suoi addetti alle pulizie meno del salario minimo.
E i repubblicani?
Eppure, nonostante le irritanti disuguaglianze e il potere ereditario, non esiste un movimento credibile per la rimozione della monarchia nel Regno unito. Ciò, ovviamente, in parte avviene a causa dei media mainstream. Nella loro famosa intervista con Oprah Winfrey, il principe Harry e Meghan Markle hanno parlato del rapporto «simbiotico» dei tabloid britannici con la monarchia. La Corona e il quarto potere hanno un accordo implicito: scambiano accesso alle fonti con una copertura favorevole.
Con la prospettiva di un’Irlanda unita all’orizzonte e lo spettro sempre presente dell’indipendenza scozzese, va tenuto presente il ruolo che la Corona gioca nel preservare ciò che resta della Gran Bretagna imperiale.
Il principe Harry ha pubblicamente parlato del «valore aggiunto» fornito da Meghan, una principessa nera, alla monarchia. In questa osservazione, la lunga storia di intreccio della Corona con il colonialismo e l’impero si è spostata dal dietro le quinte al centro della scena. Senza vergogna, Meghan è stata descritta come «una delle migliori risorse per il Commonwealth che la famiglia avrebbe potuto desiderare». Il posto di Meghan nella famiglia avrebbe potuto, sostengono gli entusiasti dell’ex attrice, aver reso l’immagine della monarchia più appetibile per una generazione più giovane e meno legata al razzismo. Indipendentemente da ciò che si pensa, l’ostracizzazione di Harry e Meghan ha senza dubbio intensificato una guerra culturale in cui i media sono stati in grado di etichettare qualsiasi critica alla monarchia come anti-tradizione, anti-britannica e anti-bianca.
Nel resto del Commonwealth, al di fuori della Gran Bretagna, il repubblicanesimo sta crescendo. Il nuovo primo ministro australiano, Anthony Albanese, si è già impegnato a votare per diventare una repubblica. Altri sei paesi del Commonwealth – Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Grenada, Giamaica e Saint Kitts e Nevis – stanno progettando di rimuovere la regina nel prossimo futuro.
Quando alla prima ministra delle Barbados, Mia Mottley, è stato chiesto del movimento del suo paese verso il repubblicanesimo, ha risposto: «La nostra determinazione a diventare una repubblica non riguarda il rifiuto dei [reali] in quanto persone. Ogni ragazzo e ragazza delle Barbados deve pensare di poter aspirare a essere il capo di stato in questa nazione. Non è solo una questione legale, è anche simbolica su chi o cosa possiamo diventare a livello globale».
Il sentimento antimonarchico non è un rifiuto della regina come persona, né può essere ridotto a un’opposizione all’eccesso dispendioso dell’istituzione che dirige. Piuttosto, la continua esistenza della Corona, che rappresenta il residuo dell’elitarismo aristocratico, è un affronto ai principi egualitari di una democrazia.
Oggi i socialisti dovrebbero essere d’accordo con i difensori della monarchia su un punto fondamentale: le celebrazioni giubilari sono un tributo appropriato alla Regina. Come il capo di stato del Regno unito, queste cosiddette celebrazioni sono un simbolo di grottesca disuguaglianza travestita da panacea nazionale.
*Liam Kennedy è ricercatore al Communication Workers Union (Cwu) e redattore di Red Pepper magazine. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.