Il ministro teme il flop Europee e studia intese locali. Chiede concessioni alla premier e la incolpa della scelta perdente di Truzzu. Zaia incalza: “Sul terzo mandato non è finita”
ROMA — Abbassare i toni, non fare interviste per cavalcare il risultato della Sardegna in chiave anti Meloni. Ma chiedere alla premier, quando si saranno spenti i riflettori sul voto sardo, il “conto” di quanto accaduto: per avere una maggiore collegialità nelle scelte, il via libera al terzo mandato dei governatori con Luca Zaia ricandidato in Veneto e l’accelerazione sull’autonomia. Questa è la linea data da Matteo Salvini ai suoi.
Il leader leghista si sente all’angolo, non vuole fare falli di reazione ma sa che si gioca tutto nei prossimi mesi. Tra i dati delle urne nell’isola che vedono la Lega scavalcata da Forza Italia e il rischio di tensioni interne al partito con un pezzo di Carroccio che potrebbe mettere nel mirino la sua leadership (puntando sul malcontento del governatore Zaia), Salvini è in difficoltà: ma questa volta invoca prudenza, tanto che sono pochi i leghisti vicini a lui che commentano il voto sardo in queste ore. Prende tempo e riflette sulle contromosse: due cose che non ama fare, lui impulsivo per natura. Ma i tempi non sono buoni per lui, dentro e fuori la Lega. E questa volta non può sbagliare mosse.
Il ministro del Ponte ieri mattina a margine di un evento a Pescara (in Abruzzo si vota tra dieci giorni) dà la linea: «Quando cambi un candidato in corsa è più complicato», dice, salvo aggiungere subito dopo: «Ma non sarò mai quello che quando le cose vanno bene è merito mio e quando le cose vanno male è colpa degli altri». Prudenza, moderazione.
E intanto prepara la reazione. A partire dal chiudere subito accordi con i movimenti territoriali moderati e presentare liste uniche nelle regioni al voto e in vista delle Europee: per evitare l’errore in Sardegna di un accordo con il partito di azione senza lista unica.
Un mancato passaggio che non ha consentito di sommare il voto delle due liste, facendo quindi emergere un otto per cento che avrebbe tenuto alto il morale, anziché un misero 3,7 della Lega in solitaria superata e non di poco non solo da Forza Italia ma pure da Noi moderati di Maurizio Lupi. Anche l’accordo con l’Udc, in discussione per le Europee, sarebbe stato utile in Sardegna: il partito di Lorenzo Cesa da solo è arrivato quasi al due per cento. «Sono sempre più convinto che per dare forza al messaggio della Lega, al Sud ma non solo, sia indispensabile trovare convergenze con i movimenti territoriali e i moderati», dice non a caso il presidente della commissione Difesa Nino Minardo dopo aver sentito il leader.
Salvini ha poi la grana Zaia e per questo chiederà con forza a Meloni di votare il terzo mandato dei governatori in tempi «brevissimi», dicono da via Bellerio.Lo stesso governatore veneto è convinto che la partita non sia chiusa: «Sul terzo mandato dei presidenti di Regione non è ancora detta l’ultima parola, la palla è al Parlamento — dice Zaia confortato da Salvini — da quel che ho capito, la norma sarà ripresentata e il dibattito è aperto non solo nella Lega ma anche in altre forze politiche, da destra a sinistra. Vedremo». Per i salviniani è fondamentale rassicurare Zaia e ribadire la sua ricandidatura. «Zaia — dice il sottosegretario Massimo Bitonci — è stato riconfermato con l’80 per cento dei consensi. Pensiamoci bene, perché quando hai delle persone come Zaia o Fedriga bisogna cercare di tenerle, non cercare di metterle da parte». L’unico leghista al quale scappa il freno è il governatore della Lombardia Attilio Fontana che torna a criticare la scelta di Paolo Truzzu imposto da Meloni: «La cosa più incredibile è che il candidato del centrodestra in Sardegna abbia preso pochi voti nella sua città. Forse qualche cagliaritano si è sentito tradito dal fatto che dovesse smettere di fare il sindaco e andare a fare il presidente». Per il resto Salvini ai suoi ha detto di evitare critiche forti a Meloni e a Fratelli d’Italia e di abbassare i toni in attesa di tempi migliori e delle contromosse che sta studiando. Il leader leghista ha pronta «la lista della spesa» da presentare a Meloni e di sicuro se non sarà ascoltato, a partire dal terzo mandato al voto in Parlamento tra due settimane e dall’autonomia differenziata, con segnali concreti di apertura da parte dei meloniani, tornerà a fare quello che sa far meglio: portare il caos nel centrodestra e far saltare i nervi alla premier. Ne va della sua sopravvivenza politica da leader e per questo i toni morbidi di queste ore sono solo tattica. Nulla di più.