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Eshqi: «Non c’è nessun allentamento delle proteste, è il regime a volerlo far credere»
Nasim Eshqi, 40 anni, sa esattamente come si sentono le bambine e le ragazze che dal 16 settembre 2022 gridano per le strade iraniane «Morte al dittatore». Racconta che quando era piccola, prima di andare a letto, esprimeva il desiderio di diventare un maschio. «Sognavo di essere un bambino per fare tutto quello che volevo. Vivere a Teheran da femmina era un inferno», ci dice la campionessa iraniana dell’arrampicata all’aperto. Allora, i suoi capelli erano sempre corti, indossava pantaloni e vestiti larghi così da non rischiare di essere guardata come alcuni uomini guardavano le ragazze. «La mia famiglia si vergognava per il mio aspetto», racconta nel podcast di Raiplay Sound Nasim, in verticale, di Francesca Borghetti: «Ricordo che a scuola, invece di dire Allah è grande, dicevo “Io sono grande”, “Mia mamma è grande”».Poi, durante l’università fa una scoperta, la montagna. E tutto cambia.
Cioè?
«Per la prima volta, scoprivo un posto dove non importava se eri maschio o femmina, ricco o povero, bianco o nero. La montagna, in alto, è libertà. La polizia morale con le sue leggi ci arriva a fatica, e io, lì, mi sono data la possibilità di essere chi ero. Mi sono fatta crescere i capelli, li ho lasciati liberi al vento». Da quanto è in Italia?
«Sono arrivata a giugno. Sarei dovuta stare tre mesi perché durante il periodo estivo lascio l’Iran per esercitarmi sulle montagne di altri Paesi. Una settimana dopo la morte di Mahsa Amini sarei dovuta tornare a Teheran, ma ho preferito stare qui. Fuori sono più utile: racconto all’estero le sofferenze del mio popolo».
Si aspettava quello che sta succedendo nel suo Paese?
«Onestamente no. Non credevo che così tante donne avrebbero avuto il coraggio di protestare. Pensavo che la maggior parte avesse paura di parlare: il regime è ovunque. Ma a quanto pare la rivoluzione era in ogni casa e ogni donna aveva già dentro di sé una fiamma che bruciava. Mahsa Amini è stata come una brezza che ha unito le fiamme e creato il fuoco».
Che cosa le raccontano i suoi amici rimasti in Iran?
«Tutti dicono che se avessero la possibilità, lascerebbero il Paese».
Conosce Elanz Rekabi, la campionessa iraniana di arrampicata che ha gareggiato nella finale dei Campionati di Seul senza velo e ha rischiato il carcere?
«Sì. Quella notizia è stata manipolata dal regime: era propaganda. La sua scelta di gareggiare senza velo è uscita in concomitanza con la questione degli stupri e le torture nelle scuole. La propaganda ha usato questa storia per coprire il resto: meglio parlare di donne senza velo che di crimini contro l’umanità».
Ma poi è circolata la storia della sua casa bruciata dalle Guardie della rivoluzione. «Anche questa cosa risulta essere una fake news. Aveva una villa che è andata distrutta prima della competizione. Lo so perché mia sorella frequenta la palestra dove si allena lei. Non hanno arrestato né Rekabi, né i suoi familiari. Vedete? Ora stiamo parlando del suo capo scoperto, non di quello che sta succedendo in Iran. È esattamente ciò che vuole il regime. Parliamo delle migliaia di ragazze avvelenate nelle scuole».
Qual è lo scopo delle intossicazioni delle ultime settimane, secondo lei?
«Il regime non vuole che le ragazze siano istruite: una donna che sa è pericolosa. Odiavo essere femmina, ma studiando ho capito che tra me e i ragazzi non c’era alcuna differenza. Avevo lo stesso corpo, la stessa testa. Lo studio è la più grande minaccia contro la Repubblica islamica perché poi non possono più manipolarti».
Qual è la forza di questa generazione?
«Anche loro vivono di divieti, ma hanno internet: conoscono tutto, possono raccontare tutto».
Sembra che ci sia un rallentamento nelle proteste.
«È quello che il regime vuole che si pensi. Non c’è un singolo giorno in cui non si protesti, non c’è un muro della città senza la scritta “Morte a Khamenei”» .