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Stefano Crippa
Vanoni, l’incoscienza e l’allegria Un ricordo dell’interprete milanese, sette decenni tra musica, teatro cinema e televisione. L’ironia tagliente e il fascino di una personalità che ha catturato diverse generazioni
L’ironia era il suo tratto caratterizzante, la capacità di cogliere al volo il paradosso delle cose. Anche nel racconto delle situazioni più incredibili e drammatiche – gli anni della guerra, la depressione, le battaglie della vita – la nota brillante stemperava l’atmosfera. Appena tre settimane fa irrompeva da Fazio a Che tempo che fa portandogli in dono una corona di fiori, per ricordare che l’invito in trasmissione coincideva con la ricorrenza dei defunti… La morte non le faceva paura: «Ho già pronto l’abito di Dior, crematemi e poi buttatemi dove volete». Ornella Vanoni, 91 anni, è morta venerdì sera nella sua casa milanese, chiudendo una carriera lunghissima fatta di sette decenni di musica – soprattutto – e poi teatro, televisione e poco (purtroppo) cinema. Voce duttile, apparentemente fragile ma in realtà capace di mille modulazioni che le consentono variazioni infinite e una cura maniacale nell’interpretazione.
Parole e testi devono sempre avere un senso compiuto, l’emozione del palco non deve mai mancare: «Ogni artista – si legge nella sua recente autobiografia Vincente o perdente scritta a quattro mani con Pacifico ed edita da La nave di Teseo – deve ostentare sicurezza. È un’armatura necessaria per affrontare il pubblico, per salire sul palco. Ma dopo i proclami scesi dai tacchi, dalle impalcature, smontata la quinta di cartapesta, si spalanca l’abisso del dubbio. Dubiti del tuo valore, dell’amore del pubblico».
IL MONDO dello spettacolo la intriga, così decide di iscriversi appena diciannovenne all’Accademia d’Arte drammatica del Piccolo teatro diretto da Strehler. Provino disastroso – per sua stessa ammissione – ma in quella voce, in quell’attitudine, la grande attrice di prosa Sarah Ferrati che era nella commissione esaminatrice, percepisce il talento ‘Attenzione! Qui c’è qualcosa’. Il debutto avviene nel 1956, con Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, ma prima c’è l’incontro – professionale e sentimentale – con Strehler. Scontri e riappacificazioni di un rapporto amoroso e artistico da cui Ornella assorbe moltissimo. «Giorgio mi diceva sempre che il grande mistero del teatro è che ciò che stai vedendo non lo vedrai più. Lo vedi in scena per un istante, e in quell’istante non tornerà. La pellicola si tramanda, identica. Il teatro passa e muore. E questo fa male, commuove».
Ed è proprio questa sua piena adesione alla recitazione che la catapulta nel mondo della musica attraverso le canzoni della mala (ne scrive in pagina Antonello Catacchio, ndr). La fine del rapporto – artistico e personale con Strehler – coincide con il cambio di registro di Ornella. «Vedevo Mina tutta sorridente guidare auto scoperte al centro di Milano, e volevo sentirmi felice anch’io». L’incontro con Gino Paoli segna la svolta stilistica, da una storia d’amore travagliata escono canzoni destinate a diventare classici e a darle una nuova dimensione: Senza fine e Che cosa c’è sono standard intramontabili. I brani si susseguono – come le partecipazione a Sanremo, alla fine ne conterà otto senza mai vincere (come le sue colleghe, Mina e Milva): ecco giusto per citarne alcune La musica è finita, Casa bianca, Eternità, Una ragione di più, Un’ora sola ti vorrei, Tristezza.
Nei settanta la carriera discografica si fa più strutturata, è la volta degli album e della svolta brasiliana. Un’ispirazione dovuta a Mina, come ricorda il critico Antonio Bianchi sul numero 96 della rivista Minafanclub: «Ornella ripercorre le orme di Mina, le cui prime escursioni risalgono al 1962. Lo snodo fondamentale è il grande successo de La Banda (Chico Buarque, ndr). Sulla sua scia pubblica Tristezza (per favore va via), che reca espliciti riferimenti a Mina anche nell’arrangiamento, non a caso firmato da Bob Mitchell (Augusto Martelli)». Nel 1970 l’exploit che la proietta definitivamente tra i beniamini del grande pubblico: in hit parade irrompe L’appuntamento di Roberto Carlos, con testo italiano di Bruno Lauzi. Croce e delizia per Ornella, costretta a inserirla sempre in scaletta durante i concerti.
NEL 1976 si mette in proprio e fonda la Vanilla, la sua etichetta discografica, con cui dà alle stampe lavori curatissimi come l’album che inaugura quella fase artistica, forse il più bello della sua carriera: La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria insieme a Vinicius de Moraes e a Toquinho con la supervisione – fondamentale – di Sergio Bardotti, che la seguirà per molto tempo: «Sergio era sempre on the road, mi dava una grande energia. Con lui si affrontava il mestiere a piene mani, non ciascuno a casa propria»,
confida a Enrico de Angelis nel libro dedicato a lei e a Gino Paoli Noi due, una lunga storia (Mondadori, 2004). Parallelamente, la carriera di Ornella si espande anche su piccolo schermo, nel 1975 è accanto a Gigi Proietti, nello spettacolo Fatti e fattacci (che vince il Festival della Rosa d’oro di Montreux per l’intrattenimento).
Successivamente invece è in teatro, protagonista nella commedia di Fiastri intitolata Amori miei.
Nel 1977 la collaborazione con i New Trolls genera il doppio Io dentro / Io fuori. L’ispirazione resta altissima anche nei primi ottanta che si aprono con Ricetta di donna, che contiene un adattamento di Fabrizio De Andrè per Una famosa volpe azzurra (Famous blue raincoat), brano di Leonard Cohen.
L’anno dopo tocca a Duemilatrecentouno parole – copertina disegnata e concepita da Giorgio Forattini – dove affronta tematiche femminili Vai Valentina, Per amica e ritrova Paoli per E Gino risponde. Ma è con Uomini (1983) che espande la sua camaleontica capacità di adattare il suo stile a universi sonori molto differenti, passando da Vinicius De Moraes a Endrigo, Tenco (Ho capito che ti amo, nella sua interpretazione diventa la versione definitiva…). Nel 1985 c’è un ritorno di fiamma – professionale – con Gino Paoli e un tour che parte quasi per caso, l’invito a una festa per l’Unità a Bologna a cui si presenta un pubblico enorme e un doppio disco dal vivo che vende 500 mila copie.
MA C’È SPAZIO, un anno dopo, per un vecchio sogno di Ornella, il doppio Ornella & realizzato con superstar del jazz a New York su brani storici della musica leggera italiano. Da Hancock a Evans passando per Benson e Mulligan. O (1987) è un altro tassello importante, pur concepito nel mezzo di un uragano perché Fossati non vuole collaborare con Greg Walsh, l’altro produttore. Si accorderanno dividendosi il lavoro, ma Vanoni è impeccabile: di Ivano canta (e incanta) Una notte in Italia e la perturbante Carmen. Meno esploratrice e più morbida è la discografia dei novanta – affiancata alla produzione ora da Mario Lavezzi: svetta Sheherazade (1995), dove arriva per la prima volta la tromba di Paolo Fresu. Una liaison suggellata da uno dei vertici della sua discografia – Argilla (1997) prodotto dal musicista sardo insieme a Beppe Quirici, raccolta di cover tutte acustiche dove si accosta a Marisa Monte, Carlinhos Brown e osa il confronto con Mina, in una versione minimale di Bugiardo e incosciente.
Nel 2008 celebra i 50 anni di carriera con Più di me, duettando con artisti di ogni generazione: Claudio Baglioni, Fiorella Mannoia, Jovanotti, Carmen Consoli, i Pooh, Lucio Dalla, Gianni Morandi, Eros Ramazzotti e infine Mina, in un inedito duetto-evento: Amiche mai. Negli ultimi anni si concentra sul piccolo schermo, trovando spazio fisso a Che tempo che fa al fianco di Fabio Fazio. Ma c’è tempo ancora per un corposo progetto di inediti Unica (2020) e per un ultimo (dimenticabile) passo di danza, un disco inciso lo scorso anno Diverse, raccolta dei suoi successi riletti in nuove versioni dance. Non proprio la sua ’cup of tea’, ma con almeno un gioiello da salvare, Sant’Allegria – originariamente in Argilla – in una cupa e struggente versione elettronica cantata in coppia con Mahmood.





