Quanti biglietti staccheranno?
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15 Luglio 2024Viaggio nella consanguineità di Fratelli d’Italia. Tra romanticismo, endogamia e comunità di destino. Così Giorgia Meloni ha creato un partito chiuso e unito, con una fitta rete di legami extrapolitici e famigliari anche nelle istituzioni. Con alcuni limiti evidenti
La rivoluzione non sarà un pranzo di gala, ma forse di famiglia sì. Sorelle e cognati, mogli e mariti, figli e nipoti, compagne e fidanzati, cugini di ogni ordine e grado, padri e madri, nonni e zii, magari anche d’America. Sono i parenti d’Italia, ovvio. Risposta sanguigna, muscolare e sfacciata alla deplorata egemonia dell’“amichettismo” de sinistra. Mai nella storia della Repubblica così tanti presidenti del Consiglio, ministri, sottosegretari, parlamentari, eurodeputati, consiglieri e assessori regionali, finanche consiglieri comunali, si sono trovati tutti, nello stesso momento, al potere. Al centro come nelle periferie dell’impero. Tutti legati fra loro da un vincolo extrapolitico. Un romanzo popolare arcitaliano che regala ogni giorno un nuovo cadi pitolo. E puntualmente rivendicato, mento all’insù, nel nome dell’ancestrale militanza che evidentemente deve essere meglio della misticanza. “Embè?”. Risulta così quasi beffardo, profetico e gioioso il nome del partito in cui tutto questo è norma e fluidità, luogo comune e punto di forza: Fratelli d’Italia.
Una selezione della classe dirigente che può trasformare l’albero genealogico in quello della cuccagna. Il riconoscimento di una vita di sacrifici, ma anche il “premio fedeltà”, come la trasmissione di Radio Deejay. La storia – meglio: la cronaca – sono loro.
A mettere insieme prime donne, protagonisti, secondi attori, comparse
e maschere sono tanti, tantissimi. Un clan – nell’accezione politica del termine – senza eguali. E vincente, per quanto anomalo.
Succede da sempre in questa ultradecennale ramificata “comunità di destino”, solo che ora fa notizia o comunque è un notevole dettaglio del tempo. Hai voglia tutte le volte a tirare fuori la famiglia Franceschini, il senatore (ministro ad honorem) Dario e la moglie deputata Michela Di Biase del Pd (nata e cresciuta politicamente però nel quartiere periferico romano dell’Alessandrino). O quella di Sinistra italiana, mini condominio abitato nell’attico dall’onorevole coppia Fratoianni & Piccolotti (l’operazione Salis pare sia nata nel loro tinello, dicono ridendo da Si, mentre “Nick il rosso” lavava i piatti, facendo strame del patriarcato). O ancora: ci sarebbero pure i grillini Riccardo Ricciardi e Gilda Sportiello, compagni in due Camere, dei deputati e del soggiorno, con tanto di pargolo. Senza affondare gli stivali nel Ventennio, storie e vite simili ci sono sempre state. Con casi ben più famosi e “scandalosi” per l’epoca, si dirà. Il fatto è che qui, questa volta, sono davvero assai. Razza padrona.
Dalle parti della “Fiamma magica”, che governa e prospera nel paese, si registra una certa sistematicità di questo fenomeno. Sembra quasi una regola tribale d’ingaggio. A Roma, compound meloniano, la mettono così: semo cresciuti insieme. Un’endogamia nelle istituzioni che parte e si rispecchia nel partito, avanti e indietro come un elastico.
La prima forza d’Italia anche con l’ultima tornata di congressi locali ha perpetrato logiche un po’ di vassallaggio e molto di appartenenza senza mai aprirsi – nonostante il boom di iscritti – a nuove culture politiche nei ruoli che contano. Sempre loro, solo loro. D’altronde, aggiungerebbe Corrado Guzzanti: “Aborigeno, io e te ma che se dovemo di’?”.
Simone Canettieri, 42 anni, al Foglio dal 2020, cronista parlamentare. Ha lavorato a Roma, Firenze, Parma e Viterbo scrivendo un po’ di tutto.