
La nave Madleen parte della Freedom Flotilla è stata assaltata dalle Forze di Difesa Israeliane
9 Giugno 2025Editoriale
Il referendum è andato com’era previsto: affluenza sotto al quorum, partecipazione che si misura in briciole, trionfi a tavolino. Ma il dato vero non è quello numerico. È il segno profondo che lascia. Il senso comune — direbbe Gramsci — oggi è segnato dalla rassegnazione. E quando il senso comune si piega, la politica resta senza terreno.
Il lavoro, i diritti, la cittadinanza: tutte parole enormi, ridotte a slogan per chi già le conosce. Si va a votare in pochi non perché non si abbiano idee, ma perché non si crede più che possano avere effetto. L’astensione non è solo rinuncia. È disillusione. È un Paese che ha smesso di riconoscersi nei propri strumenti democratici.
Chi governa si accontenta dell’inerzia. Chi si oppone si rifugia nella testimonianza. Nessuno riesce più a parlare davvero alla società. Le parole sono logore, i gesti ripetuti, il linguaggio stanco. Non si tratta di tifare per l’uno o per l’altro. Si tratta di riconoscere che manca una visione condivisa, capace di farsi proposta politica reale.
Eppure, qualche segnale c’è. Milioni di persone hanno scelto di esserci, nonostante tutto. Non per nostalgia, ma perché credono che il lavoro sia ancora la questione decisiva. Quei segnali vanno colti, ascoltati, tradotti in qualcosa che duri. Un terreno da ricostruire, non da celebrare.
Intorno al lavoro bisogna costruire un’idea di società. Non è un tema di parte: è la misura stessa della politica. Un’idea concreta, non ideologica, che parli di dignità, sicurezza, futuro. Se questa idea manca, lì si traccia il vero discrimine. Perché senza una direzione riconoscibile, la partecipazione si sfarina, e la democrazia si riduce a una procedura senz’anima.