Lavoro, scuola, sanità pubblica, diritti, ambiente, accoglienza, pace. Lotta al precariato, all’ingiustizia sociale, al patriarcato. Pensieri lunghi. Tornare vicino alle persone, in basso. Elly Schlein chiudendo la festa dell’Unità di Ravenna disegna il suo partito nuovo e declama la sua linea. Indica una direzione diversa, un altro indirizzo, salvo però aver risposto ai dem liguri usciti dal Pd perché non si sentono più a casa con una leadership che giudicano troppo radicale, di averlo sbagliato loro, l’indirizzo, quando entrarono in casa.
Contraddizioni di una forza politica che ha scelto di chiamarsi democratica mettendo molto tra parentesi quella parola sinistra che al suo interno, fin dalla nascita, viene declinata con tutte le sfumature possibili fino a non avere più colore e senso, quando non provoca un certo disagio.
Da qui deve ripartire la segretaria nella sua opera di ristrutturazione ed è un lavoro magari non impossibile, ma difficilissimo. Non basta recuperare le parole d’ordine della sinistra e, dall’opposizione, scandirle a voce altra contro il governo più a destra della Repubblica. Operazione che si potrebbe dire a costo zero – dall’opposizione si possono investire virtualmente risorse illimitate e soprassedere rispetto alle famose «compatibilità» – ma che, va riconosciuto, ha un prezzo e richiede coraggio, in un partito dove basta auspicare che si investa meno in armi o mettere in discussione leggi contro i lavoratori per suscitare sconcerto e riprovazione: una mezza sommossa che resterà mezza almeno fino alle europee. Impresa difficilissima, quindi, perché la segretaria deve ripartire dall’opposizione, ma prima di tutto dall’opposizione al “vecchio” Pd. Ben venga una manifestazione per la sanità pubblica, ma dov’era il Pd negli anni in cui la sanità è stata triturata? Per la maggior parte di quegli anni era al governo. E dov’era quando nel frattempo le spese militari aumentavano? Risposta scontata. E se la segretaria mette tra le priorità l’abolizione della Bossi-Fini e critica il memorandum con la Tunisia, quanti nel Pd rimpiangono Marco Minniti?
E ancora, «non si torni all’austerità che tanto male ha fatto all’Italia e all’Europa», ammonisce Schlein. Ma il Pd è il partito che più di tutti, sbandierando la propria «responsabilità», si è immolato al dogma rigorista. La sua legge di bilancio ideale Schlein come penserebbe di farla, se il patto di Stabilità non sarà ammorbidito: provando a forzare la gabbia o restandoci dentro “responsabilmente”? Sacrosanto criticare la riforma fiscale della destra, ma nel Pd la parola «patrimoniale» continuerà a essere una bestemmia?
Di fronte alla minoranza che la aspetta al varco delle elezioni (europee e amministrative), la segretaria ha bisogno di una buona dose di coraggio non solo per non arretrare di fronte a quel pezzo di partito che si sente già espropriato, ma anche per andare oltre ai suoi slogan, per quanto sempre utili e non insignificanti. E fare ulteriori sforzi. Che il cosiddetto decreto Caivano è solo uno spot non è esattamente quello che ci aspetta di sentir dire da una leader di sinistra. Ma evidentemente di fronte a una destra reazionaria che si scaglia anche contro i ragazzini scatta il solito riflesso per cui (pena emorragia di voti) la «sicurezza non è di destra né di sinistra».
Le plateali assenze al comizio di chiusura della Festa però dicono tutto. Anche i grandi sponsor di Schlein mandano un messaggio. Per quanti circoli si possano riaprire, per quante nuove tessere possano essere stampate, per quanta linfa possa immettere la scuola di formazione, è arduo cambiare un partito dal vertice, in solitudine o quasi. Chi andrà in quei circoli, chi uscirà dalla Zlt per incontrare davvero il disagio? Quanti dirigenti, capicorrente, capibastone, collettori di voti? Difficile pensare che abbiano tutti sbagliato indirizzo. Forse il problema principale della segretaria si chiama proprio Pd.