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OSSERVATORIO SIENA SOCIALE
15 Dicembre 2025di Pierluigi Piccini
C’è un limite a tutto, anche alla manipolazione delle figure storiche. Attribuire a Pier Paolo Pasolini posizioni compatibili con la linea culturale dell’attuale governo non è un semplice errore interpretativo: è una distorsione profonda che contraddice la sua opera, la sua vita e il suo percorso politico. La mia onestà intellettuale non mi consente di accettare una simile operazione.
La prima falsificazione è quella secondo cui Pasolini sarebbe stato “anti-abortista”. Chi lo sostiene ignora deliberatamente il contesto della sua riflessione. Quando nel 1975 definì l’aborto “una orribile forma di eugenetica”, non stava abbracciando posizioni moraliste: stava denunciando il capitalismo consumistico che aveva trasformato il corpo in merce, svuotando la sessualità del suo valore umano. La sua critica era rivolta alle condizioni sociali che rendono l’aborto un esito estremo della mercificazione, non alla libertà delle donne. È dunque improprio collocarlo dentro l’attuale grammatica pro-life.
Un’altra semplificazione riguarda il suo corpo, descritto come quello di un atleta disciplinato. In realtà, nel suo immaginario il corpo non era estetica ginnica ma spazio politico. Era il corpo omosessuale in un Paese che lo criminalizzava, il corpo delle borgate, un corpo che sfidava l’ordine borghese e clericale attraverso l’eros. Ridurlo a un modello di autodisciplina fisica significa cancellarne la potenza simbolica. Non si può ignorare che Pasolini fu oggetto di aggressioni e campagne di diffamazione proprio a causa di ciò che rappresentava.
Anche il suo supposto “conservatorismo” viene spesso travisato. Pasolini usava termini come “reazionario” in un’accezione opposta alla retorica odierna: reagiva all’omologazione prodotta dalla modernizzazione capitalistica, denunciando la cancellazione delle culture popolari e contadine. Il passato non era un rifugio identitario, ma un territorio critico da cui attingere strumenti per opporsi al potere. Leggerlo come un anticipatore del conservatorismo contemporaneo significa stravolgere il senso delle sue parole.
È altrettanto forzato immaginare che oggi avrebbe dialogato con movimenti giovanili di destra. L’episodio richiamato, quello di Valle Giulia, era un atto polemico interno alla sinistra: Pasolini criticava una componente studentesca che percepiva come distaccata dalle classi popolari. Non apriva a un fronte opposto, ma sollecitava la sinistra a riconsiderare il terreno reale dei conflitti sociali. Estrarre quella pagina dal suo contesto significa alterarne la natura.
Un punto, però, non dovrebbe essere equivocabile: la critica di Pasolini al neocapitalismo. Egli fu tra i primi a descrivere la trasformazione del potere in chiave consumistica, individuando nella televisione e nella cultura di massa gli strumenti della nuova omologazione. Questa analisi non è compatibile con politiche di liberalizzazione e privatizzazione, né con una visione che subordina la società al mercato. Pasolini parlava di un “fascismo consumistico” proprio per indicare la capacità del capitalismo di inglobare ogni cosa, anche i linguaggi della critica.
Per restituire la sua figura con rigore, basta ricordare alcuni dati essenziali: fu un comunista irregolare, sempre diffidente verso ogni assetto di potere; un omosessuale perseguitato dalla legislazione dell’epoca; un intellettuale che denunciò apertamente i rapporti oscuri tra politica, economia e apparati; l’autore di Petrolio, un testo che indaga senza indulgenze il lato opaco del potere italiano; un osservatore che intuì il ruolo delle trame nere nel mantenimento degli equilibri istituzionali; un artista che visse dalla parte dei marginali, non perché volesse idealizzarli, ma perché lì vedeva la frattura più autentica del sistema.
L’appropriazione postuma di Pasolini non è un atto ingenuo. È una forma di neutralizzazione: invece di censurare, si risignifica. Ciò che fu scandalo diventa icona; ciò che era conflitto diventa ornamento. Negli anni Sessanta i suoi libri venivano contestati e rifiutati; oggi si tenta di renderlo compatibile con visioni da cui aveva preso nettamente le distanze. Non perché sia cambiata la sostanza di ciò che egli rappresentava, ma perché è cambiata la strategia del potere.
Alla fine, la verità resta piuttosto chiara. Pasolini non può essere collocato nel campo che oggi tenta di appropriarsene. Non lo consentono i suoi scritti, non lo consente la sua biografia, non lo consente la sua posizione nei confronti del potere. È sufficiente rileggerlo senza pregiudizi per accorgersene.
Le figure storiche meritano rispetto. Pasolini, più di altri, merita di essere lasciato nella complessità che gli appartiene. Non aveva bisogno di essere difeso in vita; ha bisogno di non essere distorto dopo la morte.





