I PROTAGONISTI
carlo bertini, antonio bravetti
La lista dei malumori, anche in casa propria, si allunga ogni giorno: il capogruppo al Senato Francesco Boccia è già nel mirino, la leader è accusata di aver contraddetto lo slogan vincente del «rinnovamento» con la nomina di un ex ministro di lungo corso, come lui, incaricato per giunta di gestire la trattativa sui capigruppo essendo parte in causa. «Consegnando il partito a Boccia e Franceschini ha indebolito all’esterno quella sua promessa di novità», è l’accusa che alcuni rivolgono alla segretaria. Sotto i riflettori c’è Franceschini, al punto che rischia di saltare la nomina della moglie, Michela Di Biase, nella segreteria. «Sarebbe uno strapotere eccessivo», frenano i puristi. I maligni del Pd raccontano pure che l’intesa con Chiara Gribaudo, amica ed ex convivente di Schlein, coordinatrice della sua campagna nei territori, si sia raffreddata dopo la nomina a vicepresidente e non capogruppo, decisione che le avrebbe lasciato l’amaro in bocca. Anche se Gribaudo va sempre in tivù per il Pd e Schlein pare avesse già deciso di prendere a Roma un appartamento più ampio la sera della vittoria.
Insomma, in principio ci fu l’entusiasmo. E poi, come accade sempre nel magico mondo dem, gelosie e malumori sono venuti a galla, mettendo in discussione il nuovo ordine regnante della sovrana, che ha tenuto tutti alla larga decidendo sempre da sola e con pochi intimi. «Alla faccia della gestione collegiale promessa all’atto della sua proclamazione», dicono i tanti fuori dal suo perimetro più stretto.
A un mese dalla sua incoronazione, arrivano i primi abbandoni e i primi mugugni, in attesa di nuove collocazioni nella segreteria: organo esecutivo e di potere. Schlein oggi ne doveva discutere con Stefano Bonaccini, ma il round per decidere se dare alla minoranza sconfitta al congresso 4 dei 15 incarichi totali previsti da statuto, potrebbe tenersi domani a Modena, dove i due sono attesi a una serie di incontri.
A prendere le distanze è Carlo Cottarelli, ex Fondo Monetario Internazionale, economista, critico sulla svolta radical e sulla ricerca di alleanze con M5s; per le stesse ragioni l’ex capogruppo Andrea Marcucci guarda al Terzo Polo, pronto a ricongiungersi con Renzi; l’ex deputata Alessia Morani avvisa sul «rischio di una fuga silenziosa di un pezzo di elettorato». I cattolici di Pierluigi Castagnetti sono in subbuglio su adozioni gay e maternità surrogata: Famiglia Cristiana si chiede se vi sia posto per loro nel nuovo Pd, Beppe Fioroni è già uscito sdegnato, Graziano Delrio fa il pompiere. Andrea Orlando dicono sia perplesso sulle mosse interne, la sinistra dem sta a guardare cosa farà la segretaria con chi l’ha appoggiata, senza però essere messo a parte delle decisioni iniziali. La “destra” del Pd è sull’orlo di una deflagrazione: Lorenzo Guerini è combattivo, Base Riformista rivendica deleghe pesanti in segreteria per Simona Bonafè, Davide Baruffi e per Alessandro Alfieri quella ambita degli Esteri: già riservata, nelle intenzioni della segretaria, a Peppe Provenzano, il primo a sinistra a schierarsi con lei. Insomma, se pur forte all’esterno come mostrano i sondaggi (l’ultimo di Ixè dà il Pd al 21, 4% e Fdi in discesa sotto il 30) e anche mediaticamente, vista la capacità di «bucare» il video, la neo leader fatica dentro il suo partito. Dopo «la forzatura» (copyright Guerini) sui nuovi capigruppo Braga e Boccia, c’è un disagio diffuso e trasversale tra dirigenti di varia estrazione. Preoccupati che Schlein preferisca dedicarsi alla battaglia esterna, delegando ad altri la gestione di un meccanismo complesso come il Pd. Ma i numeri vincenti, spesso, spazzano via i mugugni.