Il terzo pesce d’aprile sguazza da un bel po’: la candidatura di Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, con furiose polemiche. Che girano intorno alla questione senza mai centrare il punto. Tarquinio non piace agli eurodeputati uscenti perché da capolista “ruberebbe un posto” (ma non sanno che ci sono le preferenze?). Non piace a femministe e Lgbtq+ perché è cattolico, antiabortista (ma va?) e contestò quel pastrocchio della legge Zan. Come se fosse l’unico: il Pd è nato proprio dall’unione degli ex comunisti Pci-Pds-Ds e degli ex democristiani Ppi-Margherita, quindi dov’è il problema? Tarquinio non piace neppure agli atlantisti, ex Pci ed ex Dc, perché è un cristiano vero. Fra Biden&Zelensky e Gesù&papa Francesco, sceglie sorprendentemente i secondi: condanna l’invasione russa dell’Ucraina, ma predica il negoziato e contesta l’invio di armi e l’escalation verso la terza guerra mondiale. Il guaio è che i cattolici pidini trattano il Vangelo, la dottrina della Chiesa, le parole del Papa e la Costituzione come optional. Infatti – a parte un paio – han sempre votato in Italia e in Europa, anche sotto la segreteria Schlein e il governo Meloni, per la guerra fino all’ultimo ucraino senza uno straccio di iniziativa negoziale. Sì ai due decreti Armi della Meloni (gennaio ’23 e febbraio ’24); sì al piano europeo Asap per usare fondi del Pnrr in armi e munizioni per Kiev (13.7.’23); sì alla risoluzione Von der Leyen per destinare almeno lo 0,25% del Pil a nuovi armamenti all’Ucraina fino alla “vittoria contro la Russia” e alla “riconquista di tutti i territori occupati, Crimea inclusa”, cioè per i prossimi due o tre secoli (29.2.’24). Salvo che non sia un pesce d’aprile o il Pd non non inverta la rotta con tante scuse, la candidatura di Tarquinio nel Pd sarebbe una tripla truffa: a Tarquinio, al Pd e agli elettori.
Pd, un partito irrisolto dietro lo scontro sulle candidature
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Il Pd è in vena di pesci d’aprile. Dopo quello dell’altroieri sulle dimissioni della Santanchè, corre voce che ne abbia in serbo un altro fuori tempo massimo: la candidatura di Ilaria Salis, l’insegnante e attivista monzese arrestata 13 mesi fa a Budapest e tuttora detenuta in custodia cautelare con l’accusa di aver pestato a bastonate alcuni neonazisti con un gruppo di compagni. Sacrosante le proteste per le condizioni disumane delle carceri ungheresi (simili a quelle italiane) e la lunghezza del processo e del carcere preventivo (simile a quella italiana). Ma che c’entra tutto ciò col Parlamento europeo? Che senso ha chiedere gli arresti domiciliari per un’imputata in attesa di giudizio e poi candidarla per farla uscire con l’immunità senza neppure conoscere le eventuali prove a carico? E siamo sicuri che politicizzare il caso a un tale punto indurrà i giudici e il governo ungheresi a usarle il guanto di velluto anziché il pugno di ferro?
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