
The Jimi Hendrix Experience – Purple Haze
25 Dicembre 2025Piancastagnaio. La cultura come lavoro pubblico, non come vetrina
Un investimento culturale e civile per il paese
di Pierluigi Piccini
Non un elenco di eventi, non una somma di iniziative accostate tra loro. A Piancastagnaio sta prendendo forma un’idea di cultura come lavoro pubblico: continuo, paziente, fatto di scelte e di responsabilità. Un lavoro che non cerca l’effetto vetrina, ma costruisce nel tempo un rapporto stabile tra luoghi, persone e pratiche culturali.
Guardando dall’esterno, emerge una traiettoria riconoscibile. La musica, nelle sue diverse espressioni, non è semplice intrattenimento ma presenza che accompagna la vita del paese. Il teatro, dal Vittorino Ricci Barbini alla Bella Stagione, lavora sulla parola e sull’ascolto, contribuendo alla formazione del pubblico e mantenendo aperto uno spazio di confronto e immaginazione.
L’uso della Rocca per le mostre segue la stessa direzione: non una cornice neutra, ma un luogo simbolico rimesso in relazione con il presente. Il recupero dello spazio Dante Cappelletti restituisce valore a una memoria che non viene celebrata in modo retorico, ma resa viva e condivisa. La Biblioteca, presente da tempo e oggi oggetto di un percorso di potenziamento, conferma una scelta di fondo: investire su un presidio stabile di conoscenza e accesso, pensato come servizio pubblico essenziale.
In questo insieme prende forma qualcosa di più profondo: la volontà di riaffermare se stessi come comunità, attraverso le proprie storie e i propri luoghi, senza chiudersi in un’identità difensiva. Al contrario, emerge il desiderio di aprirsi al nuovo, di mettere in dialogo memoria e linguaggi contemporanei, di accogliere sguardi esterni senza perdere la propria voce. È una tensione fertile, che tiene insieme radicamento e apertura.
Accanto al lavoro strutturale si collocano anche iniziative puntuali che hanno segnato il percorso: concerti come Pink Floyd Symphony, incontri pubblici, dibattiti, progetti di arte contemporanea. Non episodi isolati, ma parti di un campo più ampio, dove linguaggi diversi convivono e si interrogano. Non tutto ha lo stesso peso, non tutto è definitivo, ma nel loro insieme questi interventi delineano una direzione chiara: non inseguire modelli esterni, non replicare format, ma costruire una fisionomia culturale coerente con la storia e le energie del paese.
Il riconoscimento di Artribune come “miglior piccola città dell’anno” va letto in questa prospettiva. Non come traguardo né come consacrazione, ma come segnale: qualcuno, osservando dall’esterno, ha colto che a Piancastagnaio è in corso un lavoro che non si esaurisce nell’evento, ma si fonda su una visione. Un riconoscimento che riguarda un processo, non un singolo appuntamento.
Dietro questa direzione c’è il lavoro di molti: operatori culturali, associazioni, artisti, tecnici, volontari, uffici comunali, collaboratori, insegnanti, cittadini. Persone diverse per ruoli e competenze, unite dall’idea che la cultura non sia un ornamento, ma una responsabilità pubblica. Senza questo tessuto umano nessun progetto potrebbe reggere, nessuno spazio resterebbe vivo.
C’è poi un elemento trasversale che attraversa tutto: la formazione, intesa anche come educazione civica. Frequentare un teatro, una mostra, una biblioteca, partecipare a un incontro pubblico significa imparare a stare nello spazio comune, ad ascoltare, a confrontarsi, a riconoscere il valore dei beni condivisi. È qui che la cultura smette di essere consumo e diventa cittadinanza, investimento sul futuro.
Parlare oggi di cultura a Piancastagnaio significa dunque parlare di un progetto collettivo, imperfetto ma reale, che cresce nel tempo. Un progetto che non vive di annunci, ma di continuità; che non cerca applausi facili, ma costruisce relazioni, competenze e senso di appartenenza.
Se oggi qualcuno se ne accorge, è perché dietro c’è un lavoro paziente che tiene insieme visione e concretezza. Ed è questo, forse, il risultato più importante: aver mostrato che anche un piccolo paese può riaffermare se stesso, raccontare le proprie storie e allo stesso tempo aprirsi al nuovo, scegliendo di investire nella cultura come lavoro pubblico e come investimento civile, non come vetrina ma come spazio vivo di comunità.





