
Whitney Houston – I Wanna Dance With Somebody
3 Dicembre 2025
OSSERVATORIO SIENA SOCIALE – AGGIORNAMENTO
3 Dicembre 2025Piancastagnaio. Lo sguardo di Fabrizio Tondi oltre l’Amiata Presentato
Presentato l’ultimo romanzo ’Il dolce incedere della sera’ dell’ex sindaco di Abbadia San Salvatore. L’intervista all’autore
Dopo l’esperienza da sindaco di Abbadia San Salvatore, Fabrizio Tondi è tornato a una sua antica passione: la scrittura. Nove libri all’attivo, l’ultimo uscito poco tempo fa «Il dolce incedere della sera» è un romanzo che segna un cambio di passo, un’apertura narrativa oltre i confini dell’Amiata, pur restando fedele alle sue radici esistenziali e filosofiche. Il suo nuovo romanzo sembra diverso rispetto alle sue opere precedenti. In che modo? «È stata una sfida nuova, una sorta di «sprovincializzazione» del mio modo di scrivere. Il dolce incedere della sera ha un respiro più universale, anche se il mio sguardo resta sempre legato a riflessioni filosofiche. È un romanzo più ampio, più articolato, che si muove tra tempi diversi e unisce una storia d’amore intensa a un passato che riaffiora. Per me rappresenta un’evoluzione naturale». Da dove nasce l’idea di questa storia ambientata alla fine degli anni Sessanta, tra Italia e Romania? «Tutto è cominciato con l’incontro con un vecchio amico dei tempi del liceo. Mi ha raccontato una storia d’amore bellissima e complessa. Da lì è scattato qualcosa: ho preso la penna e il pensiero è andato dove voleva. La mia generazione sognava il viaggio, soprattutto verso quell’Europa dell’Est che si apriva appena, misteriosa e magnetica. Da quel sogno di fuga, di scoperta, nasce il viaggio di Domenico e Orlando verso la Romania». Amore, mistero, una maledizione familiare: nel libro convivono più registri. Come li ha intrecciati? «Con naturalezza. Parlo spesso d’amore, ma cerco sempre una prospettiva diversa. Qui la relazione tra Domenico e Ana si mescola a un’ombra antica, una sorta di maledizione che attraversa le generazioni. È una storia che si amplia in modo inatteso: nella seconda parte ho intrecciato anche un fatto realmente accaduto. Mi piace quando la realtà fa eco alla finzione». La sua produzione precedente è stata molto legata alla storia di Abbadia e del Novecento. È stato difficile allontanarsene? «Sono sempre stato attratto dalle piccole sfide. I miei primi tre libri affrontavano fatti realmente accaduti ad Abbadia, dagli anni Venti al passaggio del fronte nel ’45. Poi ho scritto una trilogia ambientata negli anni Sessanta. Ma sentivo il bisogno di andare oltre quel perimetro e misurarmi con un romanzo più complesso. Non è un distacco dalle radici, ma un passo avanti». Che ruolo ha l’Amiata nel suo percorso di scrittore? «Immenso. L’Amiata è una fonte inesauribile, una natura che consola e ispira. Nel romanzo si avverte un forte senso di libertà. Ha un significato personale? «Molto personale. A diciotto anni presi l’auto dei miei genitori e arrivai a un affaccio sul Lago di Bolsena. In quel momento feci una promessa a me stesso: non avrei mai permesso a nessuno di sottrarmi la mia libertà, e sarei sempre stato io il giudice di me stesso. È un pensiero che mi accompagna da allora e che percorre anche questo libro. L’amore e la libertà sono, per me, le due grandi ansie del vivere».
Nicola Ciuffoletti




