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18 Dicembre 2023“Hamas è il primo nemico dei palestinesi adesso Israele accetti il cessate il fuoco”
18 Dicembre 2023
Disaccordi su prigionieri e ritiro di truppe. Sale la pressione internazionale: Austin in Israele
L. Cr.
Gerusalemme Moderati progressi nei negoziati indiretti tra Israele e Hamas grazie alla mediazione di Qatar ed Egitto potrebbero aprire ad una nuova tregua nei combattimenti a Gaza. Lo rivelano fonti dell’intelligence egiziana al Cairo, aprendo alla possibilità che possa riprendere la liberazione degli ostaggi israeliani in cambio dei prigionieri palestinesi. La cautela è d’obbligo: restano enormi difficoltà. In primo luogo, il governo Netanyahu è determinato ad eliminare la struttura militare e politica di Hamas con le armi; da parte loro i dirigenti islamici chiedono invece una tregua di lungo periodo.
Sembra avere oliato i meccanismi del dialogo in Europa tra il capo del Mossad, David Barnea, e il premier del Qatar, Mohammed Al Thani, la decisione israeliana di aprire parzialmente il valico di Kerem Shalom per facilitare l’arrivo di aiuti umanitari ai circa due milioni e 300 mila palestinesi allo stremo nella Striscia. Nelle ultime ore, secondo le fonti egiziane, Hamas insiste per avere il totale controllo sulla lista degli ostaggi da rilasciare e soprattutto esige che l’esercito israeliano si ritiri su posizioni concordate. Israele vuole vedere le liste degli ostaggi prima del rilascio e non accetta alcun ritiro delle proprie truppe.
Aumenta la pressione internazionale, da Londra a Berlino che chiedono una soluzione che porti a una pace stabile, fino a Parigi, che vuole una tregua immediata. In Israele è in arrivo anche il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, che vedrà l’omologo Gallant e Netanyahu per discutere della nuova fase del conflitto: a Washington insistono per raid più precisi, che facciano meno vittime civili. La prima tregua, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, era durata una settimana a fine novembre. Al momento si valuta che restino a Gaza circa 125 ostaggi, ma non è chiaro quanti siano in vita.
Tuttavia, Netanyahu è sotto pressione. A metà della settimana scorsa avevano fatto scalpore le rivelazioni apparse sulla stampa locale per cui lui e le forze più oltranziste del suo governo avevano bloccato la visita di Barnea a Doha mirata a rilanciare i negoziati. Il movimento popolare, che preme per privilegiare la liberazione degli ostaggi e di posticipare l’attacco su Gaza, era tornato in piazza a esigere scelte rapide. Poi il tragico incidente venerdì, quando i soldati avevano ucciso a colpi di mitra tre ostaggi che erano riusciti a liberarsi scambiandoli per «terroristi», aveva rinfocolato le proteste. Ieri sono emersi ulteriori dettagli: l’esercito ha diffuso le immagini dell’abitazione dove si erano rifugiati i tre dopo essere scappati da Hamas (o forse abbandonati dai loro carcerieri). Vi si vedono gli «Sos ostaggi» scritti su teli utilizzando avanzi di cibo. Un gesto disperato per cercare di non essere uccisi dal «fuoco amico», che è risultato fatale.
I combattimenti stanno continuando feroci. Secondo le fonti mediche controllate da Hamas, una novantina di palestinesi sarebbero morti sotto i bombardamenti nel campo profughi di Jabalya. I portavoce militari affermano di avere scoperto nuovi tunnel. Tra questi il più rilevante è lungo circa 4,5 chilometri e largo tre metri per garantire il passaggio di veicoli nel cuore proprio di Jabalya e permette di raggiungere non visti il confine della Striscia. Pare sia stata costruita da Mohammed Sinwar, fratello di Yahya Sinwar, il leader locale di Hamas. I soldati avevano trovato un video di lui in auto all’interno del tunnel.