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Ormai è un coro di ministri, che lentamente vengono allo scoperto: i tempi del Pnrr stanno saltando, così come i costi. Di questi passo, l’Italia non ce la farà a rispettare gli impegni con l’Europa. Ieri è toccato a Matteo Salvini, titolare delle Infrastrutture, spiegare in Parlamento che il monitoraggio stesso fa cilecca. «La confusione di ruoli e la stratificazione delle strutture – ha detto – incidono negativamente sul monitoraggio degli investimenti del Pnrr, rispetto ai quali il dato si presenta frammentato e difficile da decodificare».
Dopodiché ci sono ritardi «legati all’aumento esponenziale dei prezzi, che ha determinato un incremento del costo di tutte le opere pubbliche». E poi c’è la solita Italia delle competenze in eterna lotta tra loro. Ci sono gravi ritardi persino nell’opera che più di tutte si può avvalere di ottimi progettisti come la rete ferroviaria: «Sull’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria – ha rivelato Salvini – non è stato ancora definito con i territori il tracciato del percorso». Anche il raddoppio della linea ferroviaria Roma-Pescara «porta con sé molte criticità sia economiche che di fattibilità». Figurarsi, insomma, se si possono terminare entro il 2026 opere così ciclopiche.
Anche opere apparentemente più semplici, tipo quelle del ministero dei Beni culturali, sono in arretrato. Dice così il ministro Gennaro Sangiuliano: «Si rende necessario un realistico esame di tutti i progetti. Meglio iniziare e completarne sette che iniziarne dieci senza portarne a compimento nessuno». Di fronte a un quadro così negativo, serpeggia la tentazione di dare tutta la colpa al governo precedente. È venuto allo scoperto il senatore Lucio Malan, FdI: «Si corre il rischio di perdere dei fondi. Noi lo avevamo detto anche prima della campagna elettorale, ma ci erano state date delle rassicurazioni che però, evidentemente, non corrispondono al vero».
Le speranze di allungare i tempi per l’attuazione del Pnrr sono minime. È il commissario europeo Paolo Gentiloni a gelare le aspettative. «Tutti i Paesi – ha spiegato – hanno difficoltà. Alcuni hanno chiesto rinvii sulla data del 2026. Ma non sono possibili dal punto di vista tecnico, politico e legale». Fa l’esempio della Spagna: «Hanno difficoltà diverse dalle nostre, legate alle autonomie e al processo decisionale. Ma sta a testa bassa cercando di mantenere gli impegni. Bisogna correggere quello che va corretto, ma lavorare per attuare. Per l’Italia questa è un’occasione e non può essere perduta».
Di fatto, il quadro esatto delle opere e di quale sia lo stato di avanzamento non lo sa nessuno perché la promessa trasparenza ancora non c’è. Ha denunciato l’associazione “Open-Pnrr” assieme ad una cinquantina di altre associazioni civili, che non si riesce a sapere nulla di nulla. «Informazioni non sono disponibili nemmeno per i progetti in corso». Né si diffondono dati sui soldi già spesi per ogni singolo intervento.
Eppure secondo gli accordi con la Ue, il governo Draghi avrebbe dovuto avviare un portale, “Italia Domani”, per rendere disponibili tutte le informazioni a tutti i cittadini. Il sito è in grave ritardo anch’esso: registra informazioni su appena 5mila progetti, pari a 1 miliardo di investimenti, quando lo stesso governo Draghi aveva annunciato che erano stati avviati 73mila progetti.
Ed è su questo ritardo nel ritardo, e sulla sostanziale opacità che riguarda il Pnrr, che s’avventa anche Giuseppe Conte. «Il governo – dice – inizia a rendersi conto che siamo in ritardo sull’utilizzo di questi fondi. A Draghi consigliai di realizzare e rendere pubblico un “cruscotto” sugli obiettivi da raggiungere e lo stato di avanzamento dei lavori. Prima facciamo questo, poi avanziamo richieste all’Europa. Dobbiamo smettere di gestire la “res publica” come un affare privato».