ROMA — Doveva essere il giorno degli impegni rispettati. Da mettere in fila, uno dopo l’altro, fino ad arrivare a ventisette. Perché tanti sono gli obiettivi del Pnrr che l’Italia doveva raggiungere entro oggi per richiedere a Bruxelles la quarta rata, che vale 16 miliardi. E invece, per la destra al governo, è il giorno della scadenza fallita. È la prima volta che accade da quando il Piano di ripresa e resilienza è partito. E a differenza dei 55 obiettivi agganciati alla terza rata, che è ancora congelata (appena qualche giorno fa, la Commissione europea ha chiesto all’Italia i contratti di locazione degli studentati), i 27 impegni non sono condivisi con il governo di Mario Draghi. Fanno riferimento al primo semestre dell’anno: a gennaio, Giorgia Meloni era a Palazzo Chigi da più di due mesi.
Nel registro dei compiti da fare a casa ci sono sette spazi incompleti. Sono gli obiettivi che non si è riusciti a portare a termine, dagli asili nido alle colonnine elettriche. Nella versione concordata tra Draghi e la Commissione Ue, è la sottolineatura sibillina che rimbalza nei ragionamenti del governo Meloni. Insomma se il traguardo di fine giugno è saltato, la colpa è dei ritardi ereditati, oltre che dell’inflazione e delle altre cause che vengono indicate per giustificare la necessità di rinegoziare i 27 obiettivi. Provando a salvare l’intera rata, con la richiesta all’Europa di validare la rimodulazione dei sette target incompiuti. Anche di questo hanno parlato ieri, a Bruxelles, il ministro per il Pnrr Raffaele Fitto e il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni, a margine del Consiglio europeo.
Ma la trattativa non cancella l’affanno. Dal fact-checking diRepubblica emergono cinque criticità, a cui vanno aggiunte altre due, spiegano fonti di governo. I problemi riguardano gli asili nido, una delle misure simbolo del Pnrr: entro oggi bisognava assegnare il 100% dei lavori perla costruzione di circa 265 mila nuovi posti. Ma l’asticella si è fermata poco sopra l’80%. Da qui la necessità di correre ai ripari, proponendo a Bruxelles di chiudere un occhio sul 20% mancante, con la promessa di mantenere l’impegno sul target finale. Oppure tre mesi in più di tempo, fino a fine settembre, per aggiudicare tutti gli appalti, escludendo a quel punto i Comuni in ritardo. Problemi anche per le stazioni di rifornimento a idrogeno: la Commissione deve dare il via libera al taglio, da 40 a 35, delle aggiudicazioni (in alternativa servirà un nuovo bando). Non è stato centrato pienamente neppure l’obiettivo per l’affidamento dei lavori relativi alle 20.500 colonnine elettriche da installare nelle autostrade e nei centri urbani: come per gli asili, si è chiesto di rimodulare il target di giugno, con la rassicurazione che il ritardo sarà colmato nel 2024. Le criticità riguardano anche il progetto per i nuovi studios di Cinecittà: i contratti per la realizzazione di nove teatri sono stati firmati, ma Bruxelles deve dare il via libera alla variazione del target generale (inizialmente erano previsti 17 teatri). Già pubblicati tre decreti per attuare le riforme della giustizia penale e civile, ma serve qualche settimana in più per adottare i testi mancanti.
Il sentiero della trattativa per la quarta rata è stretto: il governo punta a raggiungere un accordo con Bruxelles entro luglio. Solo così i 16 miliardi potranno arrivare entro la fine dell’anno. In ritardo. Ma scavallare luglio significherebbe andare ancora oltre, all’anno prossimo.