MILANO — Mps in Borsa risente della cessione del 25% a circa 100 fondi italiani ed esteri. Ma la chiusura a 2,82 euro (-8%) non è troppo inferiore ai 2,92 del collocamento di lunedì, che ha fruttato 920 milioni al Tesoro.
Tutto come da copione, e tutti contenti, dal socio pubblico ai consulenti finanziari (Ubs, Jefferies, Bofa) e legali (Clifford Chance). «Un’operazione giusta, con il timing giusto », ha detto a Radiocor il sottosegretario al Tesoro, Federico Freni. Il tempismo, che in Borsa è quasi tutto, ha permesso di chiudere il 20, sulla scia del giudizio benigno di Moody’s sul rating Italia, blitz che ieri avrebbe avuto condizioni peggiori, nel clima ribassista soprattutto a Piazza Affari.
L’aver quasi dimezzato il fardello del 64% del socio pubblico, che in sei anni è diventato una zeppa, riapre i giochi sul dossier, e lascia varie opzioni al Tesoro per indirizzarlo. L’unico vincolo è quello con l’Ue, di riprivatizzare entro giugno 2024 il Monte. Ma appare da tempo superato, essendo chiaro da mesi che non ci sono compratori in vista. Proprio per questo il Tesoro ha scelto un passo intermedio, cedendo un 25% come «prima fase del più ampio processo che porterà a valorizzare pienamente Mps, nell’interesse della stessa e di tutti gli stakeholders, nel solido quadro patrimoniale e reddituale che la caratterizza, e delle sue prospettive di ulteriore sviluppo», era scritto nella nota di lunedì sera.
Ora la quota pubblica è scesa al 39,2%: ed è possibile che l’anno prossimo sia limata ancora, in un collocamento bis fino al 10% di azioni. Il Tesoro, lunedì, s’è impegnato «a non vendere sul mercato ulteriori azioni Mps per 90 giorni». Ma con le giuste condizioni, e magari se la chiusura del bilancio 2023 confermerà le attese di almeno 1,1 miliardi di utile netto, gli investitori che lunedì avevano prenotato «oltre cinque volte la quota iniziale» del 20% potrebbero essere ricontattati.
Un aiuto al dossier potrebbe venire, come un mese fa, dalla giustizia: lunedì prossimo c’è la sentenza d’appello sul filone che ha visto gli ex manager Profumo e Viola condannati in primo grado, per le operazioni in derivati. Ci sono discrete possibilità che ora siano assolti, dopo l’assoluzione in Cassazione dei predecessori Mussari e Vigni a ottobre, per simili vicende e accuse. Nel bilancio Mps ci sono 160 milioni di richieste danni direttamente legate al processo Profumo-Viola, ma una nota di Mediobanca Securities ha stimato che l’effetto potrebbe irradiarsi ad almeno 2 miliardi di rischi legali senesi: e che un’assoluzione definitiva potrebbe consentire a Mps di imputare fino 600 milioni di riserve su rischi legali al capitale primario (Cet1), alzandolo al 17,2%, uno dei livelli più alti in Europa.
Per Mediobanca l’elevato patrimonio è un elemento chiave perché il Tesoro possa cedere Mps senza alcuna “dote” pubblica (due anni fa Unicredit chiese 7 miliardi per annetterla). Mediobanca ha simulato tre scenari di fusione: Unicredit potrebbe permettersi di pagare cash e azzerare la presenza del Tesoro nel nuovo polo; Banco Bpm e Bper, invece, se pagassero Mps con loro azioni e offrendo un premio del 20% alla Borsa, diluirebbero già così al 13% circa la quota del Tesoro nel “terzo polo italiano”, progetto caro al governo. Scenari futuribili, anche perché le tre banche da due anni negano ogni interesse: ma non più così remoto.