Federico Geremicca
L’interrogativo, sostanzialmente insolubile, può apparire di scarso interesse, e magari – con tutti i guai che incombono – davvero lo è: ma i trentuno “democratici moderati” liguri che lasciano la casa madre del Pd per Calenda, lo fanno per la «netta svolta a sinistra» del partito o perché (obiezione della Schlein) «forse l’indirizzo era sbagliato prima»? Può apparire, dicevamo, questione di lana caprina: ma poiché dalla risposta a quell’interrogativo può dipendere l’ennesima crisi di nervi in casa pd (che resta pur sempre il perno dell’opposizione) qualche riflessione va forse azzardata.
Per mettere la discussione su un terreno di concretezza, occorre necessariamente partire dalla condizione in cui si è ritrovato il Pd all’indomani della sconfitta del 25 settembre, dalla discussione che ne nacque e dalla sorprendente vittoria di Elly Schlein alle primarie del marzo scorso. I democratici uscirono da quel voto politico con il secondo peggior risultato di sempre: 19,04 per cento. Appena lo 0,3 per cento in più rispetto al punto più basso, toccato nel 2018 dopo gli anni di segretario-premier del “moderato” Matteo Renzi. Il Pd, dunque, ha un passato da forza “centrista e moderata”, poco di sinistra. Andò come andò: e infatti, specularmente a quel che accade adesso, allora lasciarono la casa madre Bersani, D’Alema e Speranza (oltre alla stessa Elly Schlein…).
La discussione che si sviluppò dopo la débâcle del 25 settembre, ebbe aspetti perfino sorprendenti. Si partì, infatti, nientedimeno che dal possibile scioglimento del partito o dal comunque traumatico cambio del nome. Ci si autoaccusò di una malattia grave (fu definita “governite”) che aveva del tutto appannato il profilo, la riconoscibilità e il carattere del Pd. Analisi spietata: tutto da rifare, nulla da salvare. Ciò nonostante, nella consultazione tra gli iscritti per la scelta del nuovo segretario, Stefano Bonaccini – non precisamente una nouvelle vague – prevalse abbastanza chiaramente. E ci vollero l’insofferenza e l’esasperazione di elettori e simpatizzanti per rovesciare il verdetto e incoronare Elly Schlein nuova segretaria: non poteva continuare tutto come prima.
Per altro, dopo l’avvento di Giorgia Meloni, tutto stava continuando ad andare precisamente come prima: e cioè in maniera drammatica per i democratici. A fine gennaio, cioè a quattro mesi di distanza dal voto di settembre, l’ultimo sondaggio del tg del La7 attribuiva al Pd una percentuale disastrosa: 14,2 per cento. A fronte di questo tracollo, il Movimento Cinque stelle continuava a crescere: 17,8 per cento. La frana, insomma, non si arrestava… Poi, le primarie, l’avvento della Schlein e la svolta: il partito sale e scende, certo, ma sempre sopra o intorno al 20 per cento. E Conte ed i suoi, soprattutto, ora sono di nuovo dietro, (16,9%).
Il Pd, insomma, torna a piacere un po’ – appena un po’ – più di prima. Perché è più di sinistra? Perché ha un leader donna? Perché è all’opposizione? Perché ha un profilo diverso e un po’ più chiaro? Difficile dire. Due cose, però, sono evidenti: la rotta è notevolmente mutata, e la mutazione – del resto – è già nel profilo stesso della neo-segretaria, riconoscibile e ineludibile; e il partito è diventato – nel bene e nel male – più simile agli altri: ha una leader che la leadership la esercita, che sceglie, annuncia e decide. Spesso, se non sempre, da sola. È una novità: per alcuni difficile da digerire. Ma oggi va così: a meno che qualcuno non pensi davvero che prima di dirsi «madre e cristiana» Meloni consulti il ministro-cognato o il presidente La Russa.
Può non piacere, dicevamo: ma se è questo che non piace in casa pd, sarebbe onesto (oltre che utile) dirlo con chiarezza e operare di conseguenza. Stefano Bonaccini – il competitor oggi presidente dei democratici – sta facendo di tutto per evitare rotture, assolvendo quasi ad un inedito ruolo di pontiere. Tenere tutto assieme, però, non è semplice. Soprattutto se manca la chiarezza… Pare sorprendente, per esempio, che chi ieri ha sostenuto il governo “giallorosso” e accettato la definizione di Giuseppe Conte come «punto di riferimento fortissimo per tutte le forze progressiste», oggi trovi troppo radicale e “di sinistra” il partito della nuova segretaria…
Il Pd di Elly Schlein ha un futuro sicuramente incerto, indecifrabile. Potrebbe perfino essere solo il prodotto di una fase di passaggio, che porterà ad ulteriori evoluzioni. È difficile dirlo. Quel che invece è certo, è che il “vecchio Pd” era ormai in agonia, sepolto dalla guerra delle correnti e dalle rovine dei governi ai quali si è ininterrottamente aggrappato negli ultimi 11 anni: da Monti a Conte, da Letta a Draghi… Forse è da qui che occorrerebbe ripartire: dalla realtà. A meno che non si intenda solo riavviare la solita caciara.