
Siena, una transizione bloccata. Economia, istituzioni e spazio urbano nella crisi di un modello locale
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20 Dicembre 2025Quando l’urbanistica diventa un alibi e le contraddizioni reali restano fuori dal discorso pubblico
Siena, il governo dell’elusione
Pierluigi Piccini
Il limite più grave dell’impostazione che emerge dall’intervista non è ciò che viene affermato, ma ciò che viene sistematicamente rimosso. Non siamo di fronte a una diversa sensibilità amministrativa, ma a una vera e propria incapacità di nominare le contraddizioni reali che oggi determinano il futuro di Siena. E ciò che non viene nominato non può essere governato.
Nell’intervista di Michele Capitani non compaiono i nodi che strutturano la crisi attuale della città. Non c’è una parola sul caro vita, nonostante Siena sia diventata una città sempre più costosa a fronte di redditi medi in progressiva riduzione. Non c’è una riflessione sulla rendita immobiliare, che agisce come forza selettiva espellendo residenti stabili e trasformando l’abitazione in un asset finanziario. Non viene affrontato lo svuotamento del centro storico come problema strutturale di perdita di vita quotidiana, di servizi di prossimità, di densità sociale. Tutto questo semplicemente non esiste nel quadro proposto.
Queste assenze non sono marginali. Sono il cuore della questione. Perché una città non si svuota per caso, né diventa cara per accidente. Sono processi che derivano da un modello di sviluppo che ha smesso di produrre lavoro stabile e qualificato, che ha accettato la sostituzione delle funzioni con il consumo temporaneo, che ha rinunciato a governare il rapporto tra economia urbana, residenza e spazio pubblico. Ignorare questi processi significa progettare come se la domanda sociale fosse neutra, quando invece è profondamente diseguale e selettiva.
È in questo vuoto che l’urbanistica viene caricata di un ruolo improprio. Nell’intervista, lo spazio urbano diventa il principale terreno di risposta: accessibilità, collegamenti, riorganizzazione dei flussi, interventi puntuali. Tutto tecnicamente coerente. Ma interventi tecnicamente coerenti possono diventare politicamente contraddittori se non sono rapportati a ciò che la città intende diventare. Migliorare il funzionamento dello spazio senza una direzione esplicita non è neutralità: è una scelta implicita che tende a rafforzare le dinamiche già dominanti – rendita, turismo mordi-e-fuggi, uso selettivo della città.
Il punto non è negare che alcuni miglioramenti siano necessari. Sarebbe persino banale dirlo. Il problema è che la necessità di interventi puntuali non equivale a una strategia, e non può sostituirla. In una città attraversata da contraddizioni strutturali, il miglioramento tecnico non è mai neutro: produce effetti diversi a seconda del modello di sviluppo a cui è subordinato. È per questo che la questione decisiva non è se intervenire, ma a quale idea di città quegli interventi vengono subordinati.
Un’altra assenza decisiva riguarda il lavoro reale che tiene in piedi la città. Non solo quello legato alla formazione e alla ricerca, ma anche il lavoro ospedaliero, sanitario e para-sanitario, il personale tecnico, amministrativo e dei servizi. Siena ospita una delle principali strutture sanitarie della Toscana, ma fatica sempre più a trattenere chi vi lavora stabilmente. Medici, infermieri, operatori sanitari e personale qualificato si scontrano con la stessa barriera: affitti elevati, offerta abitativa insufficiente, rendita immobiliare che divora salari medi.
Questo dato è politicamente decisivo perché mostra che il problema non riguarda una categoria, ma l’intero sistema del lavoro. Se una città non è in grado di offrire condizioni di vita sostenibili a chi lavora nei suoi settori strategici, non può dirsi attrattiva. E se questa difficoltà colpisce chi ha già un’occupazione, per chi è in cerca di lavoro la soglia di accesso diventa quasi invalicabile. La selezione non avviene più in base alle competenze, ma alla capacità di sostenere il costo della rendita.
C’è poi un’assenza che pesa più di tutte le altre, perché riguarda il rapporto tra Siena e la sua principale istituzione economica storica. Nell’intervista non compare alcuna riflessione sulle scelte in corso del Monte dei Paschi di Siena e sul loro impatto sulla città. Eppure è evidente che le decisioni strategiche della banca – sul perimetro occupazionale, sulle funzioni che resteranno o meno a Siena, sul ruolo territoriale dell’istituto – incideranno direttamente sul lavoro, sulla domanda abitativa, sui redditi, sulla struttura urbana.
Ignorare questo nodo significa parlare della città come se fosse separata dalle trasformazioni che investono il suo principale attore economico. Qui l’urbanistica diventa rifugio, non strumento. Migliorare accessibilità e organizzazione dello spazio mentre si evita di interrogarsi su chi lavorerà in città, con quali redditi e con quali prospettive equivale a progettare nel vuoto.
Nel suo insieme, l’intervista appare così come una fuga dalla realtà, un rinchiudersi in un linguaggio amministrativo che riduce il governo della città a compatibilità, coperture finanziarie, interventi puntuali. È il ritorno di un ragionierismo che misura ciò che è contabilizzabile e rimuove ciò che è decisivo ma conflittuale: lavoro, rendita, potere economico, scelte strategiche che travalicano il perimetro comunale.
Ma Siena non è una somma di capitoli di bilancio. È un sistema urbano che vive di equilibri complessi tra istituzioni, economia e società. Se questi equilibri cambiano – e stanno cambiando – non basta amministrare l’esistente. Serve una presa d’atto politica. Senza di essa, anche il piano più ordinato rischia di diventare una mappa dettagliata di un territorio che non esiste più.
Finché caro vita, rendita immobiliare, lavoro povero, svuotamento del centro storico e impatto delle grandi scelte economiche resteranno fuori dal discorso pubblico, ogni piano sarà formalmente corretto e sostanzialmente insufficiente. Non manca il realismo. Manca il coraggio di riconoscere il conflitto che attraversa la città. Ed è da questa rimozione, non da singole scelte tecniche, che nasce l’inadeguatezza dell’impostazione attuale.





