L’apocalisse di Hendel «Schmidt sindaco e Pupo guida il nuovo ordine mondiale»
24 Gennaio 2024Covid, la resa dei conti
24 Gennaio 2024Roma. “Francamente, non mi sembra che Sangiuliano faccia qualcosa di diverso rispetto ai ministri della Cultura di colore opposto che l’hanno preceduto. L’unica differenza che vedo è che quei suoi predecessori, da Veltroni a Rutelli, da Melandri a Franceschini, lo facevano silenziosamente e un po’ ipocritamente, la Cultura con la c maiuscola di cui dicevano di essere al servizio, mentre Sangiuliano lo teorizza apertamente, forse un po’ troppo. Ma questo è un difetto comune alla cosiddetta destra politica, che dice sempre quello che pensa, anche se non sempre pensa a quello che dice”. Stenio Solinas la legge in questo modo la polemica e il dibattito culturale che coinvolge il ministro Gennaro Sangiuliano, accusato di essere troppo interessato a occupare i luoghi della cultura italiana dopo anni di incontrastato dominio della sinistra, dalla Biennale di Venezia al Teatro di Roma, forse per imporre quell’egemonia culturale di cui va discettando dall’inizio del suo mandato. Per opporsi all’amichettismo di cui negli ultimi giorni ha parlato anche la premier Meloni. “Credo che brutalmente si chiami ‘marcare il territorio’ o, più nobilmente, coinvolgere dal punto di vista operativo chi è in linea con il tuo pensiero”, dice il direttore editoriale di Settecolori, storico caporedattore della Cultura del Giornale e pensatore della cosiddetta nuova destra, grande conoscitore di Alain De Benoist. Eppure, chiediamo, ha senso imporre questa nuova egemonia a colpi di mostre come quella su Tolkien? “Una mostra su Tolkien ha la sua piena ragion d’essere, ma penso che accontentarsi di un conservatorismo generico lasci un po’ il tempo che trova e sia una battaglia di retroguardia. Le faccio un esempio, per restare al mondo anglosassone. C’è un grande artista, si chiama Wyndham Lewis, ci ho scritto sopra un libro, fondatore del Vorticismo e fra i massimi ritrattisti del Novecento. Non so se rientri nella generica categoria dei conservatori, ma penso che una personale la meriterebbe”, dice ancora Solinas. “Venendo all’Italia, ci sono scrittori, penso a Parise, a Comisso, filosofi, penso a Michelstaedter, pittori, penso a Fabrizio Clerici, che meriterebbero maggior attenzione e che anch’essi soffrirebbero di una catalogazione così riduttiva”. Il punto, quindi, più che semplicemente occupare gli spazi dovrebbe essere giocare col potere seduttivo della cultura di destra. Non trova? “Potere seduttivo è una bella parola, che però significa poco. Non conosco bene come si articoli l’attività di un ministro della Cultura, ma mi viene difficile credere che ogni giorno pensi a questo o a quell’autore seducente da far conoscere all’italiano ignorante o acculturato. Occorrono tempi lunghi, giusta semina, l’improvvisazione non paga. Non paga in politica, figuriamoci in campo culturale”, spiega ancora il giornalista e scrittore, punto di riferimento in ambito editoriale dopo che ha preso a curare una selezione dei cosiddetti “giganti di carta”, dedicato a giornalisti che si sono distinti nel panorama italiano. Torniamo all’egemonia culturale. Sangiuliano la interpreta in termini gramsciani. Fa bene o suona posticcio? “Non c’è più un’egemonia culturale di tipo ideologico-politico o ideologico-partitico. C’è stata, ma era un’altra Italia, un’altra politica, degli altri partiti”, risponde Solinas. “Quella che c’è adesso è una sorta di melassa intellettuale, tanto vischiosa quanto conformista dove tutto si tiene: l’ambientalismo e i barconi dei migranti che non sono emigranti, il ‘denunciateci tutti’ e il gender, il consumismo, il globalismo, lo slow food a chilometro zero, l’esaltazione vittimistica delle minoranze, il diritto alla privacy e l’utilizzo dei social media come una mitragliatrice. E’ un po’ un nichilismo del nulla, dove mangiano tutti alla stessa tavola e si scambiano fra loro i piatti e dove qualsiasi pensiero forte, perché alternativo, viene visto come pericoloso e quindi rifiutato a prescindere: non c’è il confronto, ma la condanna morale, la sua trasformazione in male, più o meno assoluto, va da sé. Tutto questo – aggiunge Solinas dall’alto del suo osservatorio, una casa editrice di nicchia ma oramai di culto –, naturalmente, non ha niente a che vedere con Gramsci, che si rivolterebbe nella tomba a vedere che fine ha fatto il suo principe collettivo, l’intellettuale organico e la società civile”. Quanto invece all’ideologia italiana”, altro totem agitato da Sangiuliano, “il ministro coglie un punto importante, nel senso che c’è un pensiero novecentesco che si muove nella stessa ottica di rifiuto dell’Italia giolittiana e liberale dell’epoca, pur da sponde diverse, se non opposte. Ma ho l’impressione che quel Novecento sia irrimediabilmente alle nostre spalle e occorra pensare a qualcosa di radicalmente nuovo”.
Solinas più di un quarto di secolo fa ha scritto un pamphlet su cosa restava della cultura di destra nel nostro paese (Per farla finita con la destra). Da cosa è rappresentata quest’oggi? “Su questo ho già dato e tornarci sopra mi annoia. Aggiungo solo che perché ci sia una cultura di destra, è necessario che ce ne sia una di sinistra, e magari una di centro. Più in generale, non esiste comunque una cultura di destra al singolare, ci sono tante destre e spesso e volentieri in contrasto fra loro. Puntare su quella conservatrice, in un Paese dove non c’è niente da conservare e dove una destra di questo tipo, in pratica, non è mai esistita è una scelta, ma anche un azzardo”. Suona come un consiglio nei confronti di Meloni e del governo. Che forse, più che pescare dal passato, dovrebbero guardare al futuro. Chi sono, secondo lei, i nuovi riferimenti della destra? “C’è un regista giustamente famoso che si chiama Paolo Sorrentino, ce n’è un altro, molto più giovane, ma emergente, che si chiama Pietro Castellitto. Fatico a considerarli di destra, fatico a considerarli di sinistra. Mi piacciono i loro film e li vado a vedere. Questo continuo affibbiare etichette è indice di senilità ed è un alibi a non pensare, ad accontentarsi di quello che passa il convento intellettuale à la page. Cibo scarso e mal cucinato, verrebbe da dire. Però è gratis e puoi rivendere le posate”.