Lucia Annunziata
Sollievo e sospetti. Il discorso tanto atteso di Hassan Nasrallah , capo religioso e politico di Hezbollah, il Partito di Dio, ha lasciato il Medio Oriente sorpreso e sospeso, con un discorso denso di evasioni e ambiguità. In ogni caso sul tavolo rimane la frase «Solo un cessate il fuoco può evitare l’allargarsi del conflitto». Pronunciata mentre il premier israeliano negava al segretario di Stato americano la “tregua umanitaria”.
Nasrallah è un uomo politico, di quelli che iniziano sempre le riunioni partendo dalle “fasi”, come i comunisti una volta. Iniziando a svolgere il filo dalla situazione generale e poi, via via, scendendo nel dettaglio indicando i punti con uso meticoloso dei numeri. Il tono officiante, il fraseggiare monotono, e la lunghezza del discorso stesso, hanno tenuto a bada una folla enorme raccolta in vari punti del Libano, molti torsi nudi, bandiere gialle e la bandana verde dei combattenti iraniani. Ma sotto quella predica, senza mai alzare la voce, passavano frasi che facevano sobbalzare .
Ad esempio, riferendosi agli assassinii commessi da Hamas il 7 ottobre, ha affermato due volte: «I civili li hanno uccisi gli israeliani»; oppure «la guerra non si vince in una volta sola, ma a tappe» (Quali tappe? Brivido); e ancora «l’unico che è sotto pressione è Joe Biden. La pressione viene dal Congresso, dai suoi alleati, e dall’opinione pubblica che sta cambiando verso». Frasi di esperta coltivazione delle ambiguità – ma fino a un certo punto. «Se gli americani vorranno la guerra in questa regione, siamo pronti, in qualsiasi momento».
Con uno straniante effetto da serie Netflix, intanto, il suo discorso scorreva parallelo alla conferenza stampa di Antony Blinken, segretario di Stato alla sua terza missione in Israele dall’inizio della guerra. La contemporaneità non poteva esser voluta (impossibile calcolare i tempi con tale precisione) ma ugualmente proiettava la perfetta sintesi dei lavori in corso: fra Israele ed Usa sta decisamente crescendo in queste ore un forte dissenso su come procedere; ma sono gli Usa – che stanno provando a riprendere in mano una trattativa , anche minima, anche una qualunque, fosse anche solo un gesto, che fermi gli attacchi di Israele ai civili ormai intollerabili in mondovisione – il vero avversario delle milizie di Hezbollah.
Non avremo dunque il coinvolgimento del Partito di Dio nel conflitto. Almeno per il momento. Ma come discorso di presa di distanza ci offre, a guardarlo più da vicino, una mappa di cosa, e soprattutto di come, pensa la raffinata testa del più complicato dei molti serpenti della guerra di potere mediorientale.
Ad esempio, è da notare che l’intero discorso di ieri è stato per tutta la prima parte dedicato a mettere in salvaguardia l’Iran da ogni possibile coinvolgimento con l’ operazione “Al-Aqsa Flood” di Hamas. Pur lodando in ogni modo possibile la leadership di Hamas e i suoi meriti nell’offrire ad Allah tanti martiri, il chierico sciita è stato estremamente chiaro nel sostenere varie volte la assoluta estraneità di Teheran dall’operazione: «Alcuni dicono che l’operazione serve gli obiettivi dell’Iran nella regione o le negoziazioni sul nucleare, ma queste sono soltanto bugie. L’operazione è al 100 per cento palestinese, per la Palestina, il suo popolo e non ha nessuna relazione con le questioni regionali o quelle internazionali».
Insistenza davvero interessante. In parte rivela con quella accusa che «sono stati gli israeliani» una certa difficoltà a sostenere, persino da parte iraniana, la cruenta operazione di Hamas. Ma ci si può leggere anche il tentativo di mantenere l’Iran al di sopra di questo episodio, in una categoria globale di grande potenza, la cui controparte sia dunque naturalmente l’America. Confermando così che se è vero che sono «gli Usa interamente responsabili della guerra a Gaza», essi sono di conseguenza anche gli unici che «possono fermare questa guerra». Strati e strati di ambiguità in queste frasi.
Interessante è poi il modo “moderno” con cui Nasrallah analizza il conflitto, usando categorie che si direbbero occidentali. Israele merita poco più di un paragrafo, e solo per scartarla come interlocutore: «L’attacco (di Hamas nda) è stato una perfetta, creativa, massiccia operazione, una gloriosa operazione che ha avuto ampie ripercussioni. Ha causato un terremoto in termine di sicurezza, militare, psicologica, esistenziale e strategica. Ha aperto una scatola e fatto scoprire tante cose. La sua ripercussione ed effetto ha esposto la fragilità totale e la debolezza di Israele. Più fragile di una tela di ragno, e lo dicono gli stessi media , lo dicono gli stessi israeliani». Un discorso, sofisticato e con molte chiavi di minaccia sottesi.
Per Teheran solo gli americani sono una vera minaccia, il degno sfidante che d’altra parte, come rivendica il leader, da tempo sfidano e sconfiggono: «Ma queste minacce contro di noi sono inutili. La vostra flotta non ci fa paura e non ce l’hanno mai fatta. Siamo pronti a rispondere. In ogni momento». «Questa guerra è come nessun’altra prima».
La vera linea rossa tracciata per il passaggio che potrebbe portare Hezbollah a un coinvolgimento pieno nel conflitto dipende dunque solo da cosa sceglierà l’America. Il che comporta, come tutte le linee rosse, l’altra faccia di una potenziale di mediazione. Se infatti l’allargamento del conflitto dipende dagli Usa, «solo loro possono fermare il conflitto a Gaza». Nelle pieghe di questo ragionare c’è la richiesta di partire dalla condizione dei civili. Che arriva proprio mentre il premier di Israele Netanyahu respinge ogni richiesta americana di tregua.
Alla fine, quante facce ha mostrato ieri Hassan Nasrallah? Lasciamoglielo dire a lui, con un finale di confessata doppiezza con cui chiude il lungo discorso: «Dico questo con piena trasparenza e costruttiva ambiguità: tutte le opzioni da parte nostra sono aperte e tenute in considerazione, e possiamo ricorrervi in ogni momento… Noi siamo un fronte di appoggio».