La minaccia della sostituzione etnica – come un piano ben strutturato di una specie di spectre – a casa delle destre estreme e di quella di Fratelli d’Italia l’hanno da sempre evocata contro l’immigrazione via mare degli africani ma anche per quanto riguarda la presenza islamica in Europa, da limitare il più possibile in favore di quella bianca cattolica. Turchia fuori dall’Ue è anche questo, ma c’è anche il comportamento che si riserva ai rifugiati. Massima libertà, sensibilità e apertura ai rifugiati ucraini, chiusura, fobie, conflitti per quelli provenienti da Africa e Medio Oriente.
Sulla sostituzione etnica si è costruita con modernità una narrativa precisa ed efficiente con azioni politiche anch’esse meticolose come la negazione della cittadinanza italiana ai figli dei migranti, mettendosi contro ogni riforma che riconosca e faciliti il riconoscimento dell’identità che si acquisisce. È una politica volta a rendere la via dell’integrazione e dell’inserimento un inferno per coloro che non solo nella percezione, ma anche nel sentimento culturale che costruisce un’ideologia conservatrice, non si vuole accogliere integralmente. Bene immigrati ben integrati con il lavoro e il rispetto delle regole certo, ma che non si pensassero italiani di sangue. Perché poi si tirano fuori radici, tradizioni, culture, fede e sagre di paese.
L’immigrato che diventa italiano per la destra e non solo di Fratelli d’Italia è una forzatura, una minaccia che si esprime per l’appunto in una morte sicura attraverso la sostituzione etnica. Di genti poi, – africani e musulmani, diciamolo onestamente perché sono queste due componenti il nocciolo della questione, l’insostenibile affronto – che si ritengono inferiori. Una brutta contaminazione da evitare a tutti i costi. Aiutiamoli a casa loro è anche un po’ questo. Il rafforzamento della parola patria è ancora più netto è chiaro.
Sostituzione etnica. Paura eh? Mentre la parola si ripete nella mia testa con sempre più forza, incrocio in ascensore il signore indiano che da almeno 4 anni vedo salire al piano superiore, perché è l’unico che assiste il vicino anziano che è ormai impossibilitato anche a uscire di casa. Per strada incrocio il fruttivendolo egiziano, 100 metri più in là quello dell’autolavaggio, marocchino, poi un’altra signora anziana a braccetto con una donna sicuramente filippina, poi un’altra forse senegalese, il fioraio è arabo ma l’accento è egiziano, al banco del mio bar preferito insieme ad altri camerieri un ragazzo nero, non so da che angolo dell’Africa provenga e sino a oggi non me l’ero mai chiesto. Davanti all’ingresso della chiesa un altro uomo, ancora più nero e con lineamenti diversi dal cameriere di prima. Sarà subsahariano. Con una scopa pulisce la strada e una mano chiede l’elemosina.
Sostituzione etnica. In un numero: sono 5 milioni gli stranieri presenti in Italia, futuri italiani (da tenere il più lontano possibile dall’acquisizione) su 60 milioni di abitanti. Mi sono resa conto, per la prima volta, che stavo perdendo sensibilità e meccanicamente stavo iniziando a osservare solo i volti che richiamavano Paesi stranieri, mentre quelli italiani, che sono la maggioranza scompaiono. Ancora una volta una mutilazione. C’è chi non vuole riconoscere la nostra italianità, la nostra storia ma ci liquida come una cosa spaventosa, quasi una calamità. Figli non desiderati.
Questa volta, la parola “sostituzione etnica”, mi arriva più violenta, volgare e precisa perché ci sono anche io, italiana di origini marocchine, all’uscita dalla scuola dei miei figli. Italiani con nomi arabi e cognome italiano del papà. Sono nati in questo Paese per amore senza la pretesa di sostituire nessuno, come i tanti figli di immigrati o immigrati stessi che vivono e soffrono le sorti di questo Paese insieme ai 60 milioni di italiani per sangue. L’abominevole idea della sostituzione etnica è nei libri di storia che basterebbe rileggersi, ma quel che è più grave è che si sia rinvigorita in questi anni: se il nostro Lollobrigida la evoca come spauracchio per mettere in guardia gli italiani dalla fantomatica invasione africano-musulmana che non c’è, c’è chi – e questo è il paradosso – come in Nord Africa il presidente tunisino Kais Saied, che è diventato il portavoce istituzionale, la evoca contro i subsahariani al contrario e cioè la sostituzione in questo caso è degli africani neri con i musulmani. Ma come dimenticare invece i vari conservatori islamici sparsi qua e là, contro la sostituzione culturale occidentale di depravati infedeli. Ecco, c’è sempre un suprematista più bianco dell’altro. Tutto si mette insieme, perché la radice è sempre la stessa. Qui la vera minaccia è all’umanità. Se ancora qualcuno ne conosce il significato.