Firenze Rocks, il gran ritorno E villaggio sempre più green
11 Giugno 2022Università: Elenco dei dipartimenti di eccellenza 2023-2027
11 Giugno 2022Di Pierluigi Piccini
Rispetto alla graduatoria della qualità della vita di bambini, giovani e anziani nelle provincie, posso portare una piccola testimonianza. Da tempo mi telefonano genitori o giovani, che mi chiedono un aiuto per trovare una camera o un alloggio a Parigi. Cerco di dare una mano, grazie alle conoscenze che ho maturato nel tempo nella capitale francese e qualche volta riesco ad essere utile. Le richieste negli ultimi tempi sono molto aumentate per studiare o lavorare, ma se dovessi fare una considerazione dovrei dire che chi mi chiama cerca un aiuto per l’esiguità dei mezzi a propria disposizione. Chi ha le spalle larghe invece sa come fare, ha i genitori che lo possono aiutare e se la sbrigano da soli. Ancora una volta, due metri e due misure: la differenza sociale è evidente. Fatto sta che, indipendentemente dall’estrazione sociale, in molti lasciano Siena e pochissimi sentono il bisogno di rientrare. Poi ci sono quelli che non ce la fanno o che, addirittura, non finiscono il percorso scolastico. Persone che dovrebbero interessare di più, che spesso non abitano la città e che la frequentano nel fine settimana. Quelli che di tanto, in tanto vengano presi in considerazione solo quando si agitano. Una nuova separatezza dal territorio di tipo sociale.
Questa considerazione spinge a una riflessione che mi agita da tempo: la necessità di rimettere sui piedi una lettura della città che poggia, innaturalmente, sulla testa. Mi spiego meglio. La città è profondamente diversa da come viene rappresentata: la retorica, l’ideologizzazione e il narcisismo non permettono di vedere i reali cambiamenti a cui è soggetta. Mi si dirà: come avviene in tutte le città italiane. Si, può essere, ma noi viviamo qui ed ora e a noi spetta rappresentare la realtà per quello che effettivamente è. La retorica di cui si abbonda serve a mascherare le contraddizioni, i problemi, per questo userò un termine obsoleto, ma ancora efficace: le differenze sociali, una volta si sarebbe detto di classe. Si perché nei momenti di crisi le differenze appaiono più chiaramente. Come consiglieri comunali abbiamo fatto un lungo lavoro in commissione, incontrando gli operatori istituzionali e meno, i rappresentanti delle contrade su un argomento classico: il disagio giovanile. La fotografia che ci hanno rappresentato è decisamente allarmante. Ancora una volta, la risposta che dà il welfare ai nuovi problemi è quella tradizionale, quindi insufficiente, tranne gli sforzi di qualcuno e la buona volontà di alcuni operatori. Il sistema è rigido e le domande molto più complesse. Se poi dovessimo focalizzare l’attenzione sul mondo scolastico e adolescenziale il quadro diventerebbe ancora più preciso e molto più chiaro. La Scuola è diventata sempre più socialmente selettiva, in una realtà che oscilla tra il circolo chiuso e una apertura piena di contrasti. Non esiste una politica dell’immigrazione, ad esempio. Per non parlare del lavoro che a Siena, come buona parte del mondo occidentale, che alterna precariato e smart working senza che nessun organo intermedio riesca a ricomporre, o a tentare di ricomporre, le fratture sociali. Quella senese è una economia appiattita sui servizi, legati quasi sempre alla ristorazione o all’accoglienza. Queste attività, spesso, non sono coperte neppure da risorse locali e caratterizzate dal precariato. Mi fermo qui, ma potrei continuare e affrontare ad esempio il capitolo beni culturali e la rappresentazione che la città offre di se stessa nelle politiche culturali, ammesso che ci siano. Le ultime battute sull’affresco del Buongoverno ne sono una prova molto chiara giocata, almeno dal Comune sul piano della retorica. Il metodo imperante è la sbrigativa semplificazione della complessità. Concludo dicendo che non ci potrà essere nessun tipo di rilancio della nostra comunità se non si prende coscienza di ciò che sta accadendo, se non si trovano risposte anche inizialmente parziali ai cambiamenti. Certo la retorica, il narcisismo sono comode modalità per nascondere le contraddizioni. E se queste vengono portate su un piano ideologico, tutto diventa apparentemente più semplice e tranquillizzante.
Università fuori sede, la casa è un lusso
Cosa succede quando uno studente magari dà un esame in ritardo e perde la borsa di studio? Finisce sotto a un ponte. Letteralmente. La denuncia arriva da don Matteo Prosperini, direttore della Caritas di Bologna: «Ci sono tanti universitari che vengono qui con borsa di studio, poi la perdono perché magari non stanno al passo con gli esami e talvolta perdono anche il loro alloggio e finiscono per qualche tempo a dormire in stazione».
LA STORIA ci ha messo un attimo a fare il giro dei collettivi e delle associazioni studentesche, che non solo confermano le tante segnalazioni in questo senso, ma aggiungono anche qualche dettaglio in più: ultimamente, infatti, a finire senza un tetto sopra la testa ci sarebbero anche dei ragazzi e delle ragazze russe che, visto il blocco dei conti corrente, non hanno più disponibilità di denaro per pagarsi una stanza e sono costretti a trovare soluzioni, per così dire, di fortuna. Non si contano invece quelli che in qualche modo riescono ad evitarsi di passare le nottate all’addiaccio, dal divano a casa di un amico al pendolarismo estremo lungo tratte da centinaia di chilometri. La fine della pandemia e delle lezioni a distanza e il ritorno degli esami in presenza rendono di nuovo necessaria la vicinanza fisica all’ateneo e come prima, più di prima, riemergono pure i problemi di sempre.
E COSÌ, dopo la tregua del Covid con gli affitti che sono stati in molti casi congelati per quasi due anni, con il ritorno alla cosiddetta normalità generale è tornata anche l’assurda normalità dei prezzi delle case. Secondo i dati del centro studi di Tecnocasa relativi al secondo semestre del 2021, si sono registrati aumenti di prezzo per tutti i tipi di alloggio: monolocali (+3.4%), bilocali (+3.1%) e trilocali (+2.5%). Qualche esempio tanto per rendere l’idea: un monolocale mediamente va dai 350 euro mensili di Bari ai 680 euro di Milano, passando per i 560 euro di Roma, i 550 euro di Bologna, i 530 euro di Firenze e i 420 euro di Napoli. Non va meglio per i bilocali, soluzione preferita dagli studenti: 490 euro a Bari, 660 euro a Bologna, 650 euro a Firenze, 920 euro a Milano, 590 euro a Napoli, 730 euro a Roma. Per i trilocali le cifre arrivano a 590 euro a Bari, 810 euro a Bologna, 750 euro a Firenze, 1.250 euro a Milano, 750 euro a Napoli e 900 euro a Roma.
SI TRATTA con tutta evidenza di prezzi che, anche ipotizzando una ovvia condivisione degli spazi con altri, non sono esattamente alla portata di uno studente. L’unica soluzione è provare ad accedere a una borsa di studio che possa garantire un posto in uno studentato o un contributo per l’affitto.
«Sono anni che denunciamo l’assurdità delle borse di studio – dice Gaia Masullo, coordinatrice dell’associazione studentesca Link di Bologna –, si tratta di uno strumento che dovrebbe essere legato al reddito e non anche al merito, altrimenti va a finire che soltanto gli studenti più ricchi possono permettersi di prendersela più comoda, di rimandare un esame o di rifiutare un voto».
Sugli affitti, la situazione bolognese appare drammatica tanto quanto altrove. «È vero che durante la pandemia si era un po’ fermato tutto – prosegue Masullo –, ma adesso la situazione è tornata esattamente come prima, anzi forse pure peggio. Di casi estremi ne conosciamo moltissimi e ci stiamo attivando per offrire assistenza e cercare di dare loro una rappresentanza nelle sedi più opportune. Al di là di questo, il problema è che quello di trovare un posto letto è un calvario per tutti gli studenti».
IL MERCATO degli affitti vede gli studenti in prima linea quanto a numeri: gli universitari, infatti, sono la categoria che ha fatto registrare il maggiore balzo in avanti, dal 5.7% del 2020 al 13.1% dell’anno scorso, mentre gli affitti per scelta abitativa hanno subito un calo del 10% (dal 73.8% al 63.2% in dodici mesi). In media per trovare una stanza o una casa in un capoluogo di provincia italiano servono 46 giorni. Dove si viva nel frattempo resta un mistero glorioso che le statistiche non spiegano e che, almeno in parte, ha svelato don Prosperini: ci si arrangia e talvolta si finisce per strada, magari in stazione dove almeno ci sono le tettoie per ripararsi un po’.
IL RETTORE dell’Alma Mater di Bologna, Giovanni Molari, sostiene che il problema sia in cima alla sua agenda da qualche tempo, e che è stata la stessa università a segnalare la questione degli studenti in difficoltà economica durante un incontro andato in scena qualche giorno fa con l’Ente regionale per il diritto allo studio e la stessa Caritas. La proposta che starebbe venendo fuori riguarda l’istituzione di uno sportello direttamente all’interno dell’ateneo che si occupi dei problemi economici degli studenti, con un’attenzione particolare verso gli alloggi. Siamo solo alle dichiarazioni d’intenti, e di certo il problema non riguarda solo Bologna, però quantomeno si tratta di un primo passo.