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Donatella Stasio
È ben più di un colpo di spugna. Il combinato disposto abrogazione dell’abuso d’ufficio e riscrittura del traffico di influenze illecite – contenuto nell’articolo 1 del Ddl Nordio, votato dalla maggioranza con l’ausilio di Italia Viva – è purtroppo l’ennesimo esempio della cultura autoritaria del governo Meloni, che taglia le unghie ai poteri di controllo e di garanzia e conferisce alla pubblica amministrazione un potere quasi sovrano, e insindacabile, nei confronti del cittadino-suddito, abbandonato di fronte a vessazioni, favoritismi, prevaricazioni. Un arretramento dello stato di diritto. Non solo cadranno processi in corso e condanne definitive ma grazie alla presunta riforma diventeranno leciti comportamenti odiosi, anche rispetto all’integrità della pubblica amministrazione, la cui discrezionalità dev’essere orientata alla tutela dell’interesse pubblico, non di quello privato. Un segnale devastante. Con buona pace della questione morale.
L’uno-due delle destre di governo si è consumato la scorsa settimana in commissione Giustizia al Senato, che nei prossimi giorni licenzierà il provvedimento per l’aula. L’abrogazione dell’abuso viaggia insieme alla riscrittura del reato di traffico di influenze illecite, introdotto nel 2012 dalla legge Severino n. 190, sotto la spinta delle Convenzioni internazionali sulla corruzione firmate dall’Italia. La mediazione illecita, o traffico di influenze, è una condotta considerata prodromica rispetto alla corruzione vera e propria. Gli intermediari in fatti corruttivi, più volgarmente detti “faccendieri” o “facilitatori”, sono un fenomeno internazionale: l’Università di Stanford ha rivelato che oltre il 90% delle tangenti pagate nell’ambito di transazioni economiche internazionali è stato veicolato proprio da intermediari.
La nostra mediazione illecita, però, fin dall’inizio è risultata troppo generica, tanto più in mancanza di una legge sulle lobbies, e difatti è stata “tipizzata” dalla Cassazione, secondo cui il reato sussiste quando la condotta del faccendiere è rivolta alla commissione di un reato, quasi sempre l’abuso d’ufficio. Che ora, però, viene abrogato. Scompare e fa scomparire così tutti i processi e le condanne basate su quello schema. Non sarà più reato pagare una persona affinché “spinga” su un magistrato per ottenere una decisione piuttosto che un’altra, visto che quest’ultima condotta non è più punita come abuso. Diventerebbe lecito anche il pagamento di danaro a chi promette una raccomandazione al componente di una commissione di un concorso, con cui può spendere rapporti personali pregressi, per far risultare vincitore il suo “cliente”.
Non soddisfatti di questo risultato, si è voluto comunque riscrivere il reato, cambiandone a tal punto i connotati da prefigurare un ulteriore e più ampio colpo di spugna, di cui beneficeranno anche nomi “eccellenti” (già circolano quelli di Gianni Alemanno e di Luca Palamara).
Ma governo e maggioranza non fanno una piega.
Nel caso dell’abuso d’ufficio, la cancellazione di quel che resta del reato dopo le precedenti scarnificazioni è stata giustificata in nome di un diritto penale liberale, mentre è vero esattamente il contrario: chi sostiene l’abrogazione è dalla parte del diritto penale autoritario perché alzare una barriera di immunità intorno al pubblico ufficiale equivale a violare il principio di uguaglianza. A sottolinearlo è un professore ultra garantista di diritto penale, avvocato e accademico dei Lincei, Tullio Padovani, ricordandoci che l’abuso è entrato negli ordinamenti europei con la rivoluzione francese ed è figlio del diritto penale liberale, per cui creare una zona franca di discrezionalità insindacabile ci fa tornare a uno stadio che precede, appunto, lo stato di diritto.
Anche un altro giurista, avvocato e professore di diritto penale, Massimo Donini, parla di “scelta autoritaria” e considera “una bufala giornalistica e politica” la narrazione secondo cui l’abuso d’ufficio riguarderebbe solo i sindaci e quindi sarebbe imposto dalla loro “paura della firma” anche per ridare slancio all’economia.
Da una ricerca sulle sentenze di Cassazione è emerso che i sindaci non sono affatto il bersaglio privilegiato del presunto accanimento dei magistrati: le sentenze che li riguardano sono di poco più numerose (82) di quelle riguardanti altre cariche elettive (presidenti di regione o di provincia, consiglieri comunali o assessori: 72) ma di molto inferiori a quelle che hanno come protagonisti dei tecnici (dirigenti di uffici di enti territoriali, medici, professori universitari…: 176). Pensiamo al detenuto arbitrariamente e intenzionalmente escluso dall’ora d’aria, dalle visite dei parenti o al quale viene impedito l’esercizio di un suo diritto (senza violare l’articolo 608 del Codice penale); al professore universitario che fa entrare in ruolo solo i suoi allievi mediocri sottovalutando abusivamente candidati più meritevoli; al primario ospedaliero che demansiona un aiuto medico perché non dirotta alcuni pazienti verso la sua clinica privata… La casistica è immensa. Ed è singolare che non si spenda una sola parola sulla gravità del reato e sul suo effetto deterrente. Di fronte alle accuse di panpenalismo, il liberale Nordio continua a giustificarsi dicendo che sono segnali di attenzione che lo Stato deve mandare ai cittadini. Ma quale segnale viene mandato con la cancellazione dell’abuso d’ufficio, se non quello di abbandonare il cittadino alle angherie dei detentori del potere pubblico? Silenzio.
Muti e sordi, anche rispetto agli impegni internazionali. Se si tratta di colletti bianchi, bisogna sbianchettare i reati, partendo dall’abuso, “ferma restando la possibilità – è la concessione messa a verbale dalla presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno – di valutare in prospettiva futura specifici interventi additivi volti a sanzionare, con formulazioni circoscritte e precise, condotte meritevoli di pena in forza di eventuali indicazioni di matrice euro-unitaria che dovessero sopravvenire”. Fuori dal giuridichese: se sarà necessario colmare lacune interverremo con nuove norme tipizzate. Ma perché, allora, non farlo subito, contemporaneamente all’abrogazione dell’abuso? È evidente che se la “riforma Nordio” resterà in vigore anche un solo giorno, tanto basterà a fare tabula rasa dei procedimenti in corso e delle condanne passate in giudicato.
Lo stesso effetto si produrrà con la riscrittura del traffico di influenze illecite, che ne ha ristretto il perimetro: “l’utilità” concessa per la mediazione dev’essere solo economica, i soldi devono essere destinati anche al pubblico ufficiale, e chi paga deve essere certo (dolo specifico) che una parte dei soldi andrà al pubblico ufficiale. Tutto questo è quasi impossibile da provare perché non sempre nel traffico di influenze c’è passaggio di soldi ma spesso solo di favori (viaggi, vacanze, e altri benefici) e non a caso anche l’Europa parla semplicemente di utilità.
I tanti rischi di questa “riforma” sono stati illustrati al Senato anche da magistrati esperti nel contrasto alla corruzione, tra cui Raffaele Cantone, Procuratore a Perugia. Che ha avvertito: l’effetto del Ddl Nordio sarà di rendere condotte odiose non solo penalmente irrilevanti ma addirittura pienamente lecite. Chiunque potrà raccomandare i propri protetti per ottenere una sentenza favorevole o la vittoria in un concorso pubblico. Bel colpo per chi si erge a tutore della legalità.