Fabio Rampelli, lei all’inizio degli anni Novanta era il capo della corrente dei Gabbiani nel Movimento sociale italiano e Giorgia Meloni una sua giovanissima seguace. L’avrebbe mai immaginata un giorno a Palazzo Chigi?
«Sì, era un sogno inconfessabile per il quale ho lavorato incessantemente, ho cambiato l’idea della politica di un intero movimento per provarci».
Cambiato cosa?
«Il nostro era un mondo bello ma incapacitante, si crogiolava nello sconfittismo eroico, sfiorando il nichilismo. Io sono figlio degli anni ‘70, i ragazzi uccisi hanno segnato la mia adolescenza e li porterò sempre con me. Poi, di fronte al corpo esanime di Paolo Di Nella, decisi che l’unica risposta a tanto dolore potesse essere solo la vittoria. Muoio ma vinco. Da quel giorno, 9 febbraio 1983, è stata un’esplosione di vitalità e speranza. E abbiamo vinto. È lui, Paolo Di Nella, il capo delegazione di FdI al governo».
In cosa Meloni è cambiata e in cosa è uguale a trent’anni fa?
«La tenacia e la voglia di dare il massimo non sono cambiate. Giorgia anche allora studiava, studiava, doveva essere performante in qualsiasi occasione e questo generava anche un po’ di risentimento verso di me per le responsabilità che le attribuivo a discapito della sua serenità. Ne è valsa la pena. Le enormi responsabilità di oggi certamente l’hanno resa molto più razionale e autorevole di ieri e, passatemi il termine, anche più accentratrice».
Tanto che oggi il partito è in mano sua e della sorella Arianna.
«Capisco che da fuori possa sembrare un’altra cosa, ma vista dall’interno non c’è alcuna stranezza. Arianna ha una storia limpida di impegno e militanza, è stata per 11 anni capo della mia segreteria politica e anche ora ha assunto un ruolo di struttura, non di governo».
Crede alla teoria del complotto giudiziario contro la sorella della presidente del Consiglio?
«No, perché ho molto rispetto della magistratura, come tutta la destra.
Sarebbe inquietante se fosse vero che c’è una indagine su di lei solo per colpire il presidente del Consiglio».
Ora il capo è Meloni. Si dice da anni che i suoi rapporti con lei non sono più felici come un tempo.
«Leggenda alimentata dal fatto che non sono ministro, ma non penso di aver bisogno di esserlo per contare qualcosa in un partito che ho inventato. La storia di Rampelli capo dell’opposizione interna è una balla siderale. Sono il fondatore della comunità politica e umana che ha costruito, ben prima di Fiuggi, la svolta dalla quale la stessa premierproviene e che ha reso possibile la fondazione di FdI. Non posso oppormi a me stesso».
Come nasce la sua militanza?
«Terza media, sembrava tutto andasse nella direzione del sol dell’avvenire, chi stava dall’altra parte era un reietto».
È vero che quando era capo dei Gabbiani la chiamavano “il demoproletario”?
«È vero, lo facevano per denigrarmi ma ero soddisfatto del messaggio che passava, quello di una destra solidale che stava dalla parte degli ultimi».
I Gabbiani affissero a Roma manifesti con Che Guevara e Pasolini. Provocazione?
«C’erano anche D’Annunzio e Marinetti. Quei manifesti volevano rappresentare il superamento degli anni dell’odio, il desiderio di costruire una comunità al di là della destra e della sinistra dove si potessero riconoscere i migliori».
Non si riconosce nell’etichetta di destra?
«Oggi mi piace di più, all’epoca mistava stretta. La destra era considerata reazionaria, nostalgica, capitalista. Oggi siamo percepiti come destra sociale e popolare, radicati nelle periferie, distanti dai diktat della finanza e vicini al ceto medio, ai nuovi poveri e al mondo della produzione».
Ha mai fatto a botte per politica?
«Mi hanno massacrato di botte, qualche ceffone fuori scuola l’avrò pure dato ma per difendermi. I “compagni” della mia scuola però mi volevano bene e mi proteggevano, con alterne fortune. Ho scoperto l’ultimo giorno di liceo che Roberta, leader degli studenti di sinistra, era innamorata di me. Me lo scrisse dietro la foto di gruppo e mi prese un colpo».
I suoi migliori amici in politica?
«È proprio convinto che in politica ci possano essere amici? Io ne ho avuti tanti in potenza, avrei voluto invecchiare con loro, molti di fronte all’occasione utile hanno accettato le offerte che gli venivano avanzate per cambiare “amicizie”. L’orrore è chepoi non ti salutano nemmeno più. Ci sono troppi venduti in politica».
Fratelli d’Italia e il passato postfascista, un nodo irrisolto.
«
I conti con il passato sono stati fatti davvero, profondi e definitivi. Noi abbiamo storicizzato il fascismo».
Una storicizzazione che non impedisce a molti militanti di FdI di coltivare il mito di Mussolini.
«Se qualcuno coltiva idee neofasciste con atteggiamenti folcloristici o si redime o viene messo alla porta».
I busti di Mussolini in casa li definirebbe folclore?
«La nostalgia è sentimento nobile, trasferita in politica diventa folclore».
Si definirebbe antifascista?
«C’è un antifascismo che ha contribuito a riportare la pace e la democrazia in Italia, cancellate dal nazismo e dal fascismo, dalla guerra, dall’orrore delle leggi razziali. In quello mi riconosco. C’è un antifascismo che voleva portare l’Italia sotto un’altra dittatura, quella di ispirazione sovietica, che ha generato la lotta armata negli anni ’70. Quello lo ripudio e lo combatto».
La fondazione di Alleanza nazionale ha dato un contributo per l’acquisto dei locali della ex sezione missina di Acca Larenzia, la via di Roma dove ogni anno si commemora con i saluti romani l’uccisione di tre militanti.
«Ad Acca Larenzia sono stati uccisi dal terrorismo di sinistra tre ragazzi innocenti di vent’anni, iscritti al Msi, partito presente in Parlamento. Tutti dovrebbero ringraziare la Fondazione perché quel luogo di dolore, per noi sacro, non diventerà un mini-market».
E i soldi all’associazione No Vax vicina a Forza Nuova?
«L’unico legame della fondazione con Forza Nuova è lo sfratto esecutivo da un immobile che aveva abusivamente occupato a Roma».
Cosa pensa delle uscite del generale Vannacci?
«Sono per la separazione delle carriere, Vannacci è stato un ottimo generale. La politica è un’altra cosa».
Alleanza nazionale non avrebbe mai votato una legge come l’autonomia differenziata.
«La guerra innescata è pretestuosa.
Noi zavorriamo l’autonomia differenziata con il premierato, l’unità indissolubile della nazione, i livelli essenziali di prestazioni obbligatori, come forme di bilanciamento».
Quale esponente del Msi avrebbe voluto vedere al governo?
«Beppe Niccolai per la statura, Teodoro Buontempo per la caparbia onestà, Paolo Colli per tutto».
Un errore che non rifarebbe?
«Cercare parcheggio mentre mio padre moriva».