
Intervista a Edmund White
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L’Italia è condannata alla crescita “zero virgola” dalla sua classe dirigente
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Il referendum dell’8 e 9 giugno si avvia verso un nulla di fatto. L’affluenza si è fermata intorno al 22% alla chiusura del primo giorno, troppo lontana dal 50% più uno necessario. Anche oggi, con urne aperte fino alle 15, un recupero appare improbabile.
I temi – lavoro e cittadinanza – non hanno mobilitato a sufficienza. Nonostante l’impegno di CGIL, Pd e M5S, la partecipazione è rimasta bassa, soprattutto al Sud. Il Nord ha risposto meglio, ma senza trainare l’intero Paese. A pesare anche la scelta del centrodestra di puntare sull’astensione, con Meloni, Salvini e Tajani che si sono recati al seggio senza ritirare le schede.
La consultazione si è politicizzata, ma senza risultati. Doveva essere un segnale contro il governo, rischia invece di trasformarsi in un boomerang per le opposizioni. L’alleanza Pd-M5S, seppur compatta, non ha allargato il consenso. I centristi sono rimasti distanti. La grande manifestazione a Roma, legata ai temi internazionali, non ha spostato gli equilibri.
Intanto, nella maggioranza si ragiona su modifiche alle regole: portare a un milione il numero minimo di firme per indire un referendum, per limitare l’uso di uno strumento che si rivela sempre più inefficace.
Il fallimento del quorum conferma una crisi di partecipazione profonda. Non basta più opporsi: serve convincere.