Le regionali 2024 si stanno trasformando in una partita a risiko per il centrodestra: cinque le regioni contese nel 2024, tre i giocatori e una serie di variabili confliggenti. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani stanno tentando da giorni di trovare una soluzione, ma nessuno sembra disposto, per ora, a cedere alle condizioni dell’altro, con il rischio che il sistema rodato nella coalizione salti.
La Lega ribadisce il mantra che «il governatore uscente va sempre ricandidato» e andrebbe più che bene anche a Forza Italia. Questo meccanismo, però, non convince più Fratelli d’Italia, che vuole far pesare altre variabili: il consenso maturato dal presidente uscente, la condivisione del suo nome dentro la coalizione, la necessità di riequilibrare i rapporti di forza. In altre parole Meloni, con quasi il 30 per cento dei consensi alle ultime politiche, governa solo in Lazio, Abruzzo e Marche, mentre la Lega, con meno del 9 per cento, ha sei regioni e Forza Italia, che chiude sotto l’8 per cento, governa in cinque. La Sicilia è l’eccezione richiamata da FdI per smontare l’assunto leghista: lì l’uscente era Nello Musumeci di FdI, ma è stato considerato troppo divisivo per un secondo mandato e Meloni si è piegata agli alleati.
Così la Sicilia è passata all’azzurro Renato Schifani e Musumeci si è consolato con il ministero del Sud. Questo precedente, richiamato da Fabio Rampelli, è servito a dimostrare che l’uscente ha il diritto a chiedere di essere ricandidato, ma non è un dogma inviolabile. Come non lo è il fatto che una regione rimanga sempre dello stesso partito, è l’aggiunta di fonti di FdI, con evidente riferimento al Veneto.
Si andrà al voto nel 2025, la Lega ha presentato una proposta di legge per permettere un terzo mandato a Luca Zaia (sarebbe il quarto ma la legge sui due mandati, approvata nel 2004, è stata recepita dal Veneto solo nel 2012 e quindi la prima consiliatura non viene considerata), ma Tajani ha già detto di «non essere molto d’accordo, non possiamo dare a chi ha già un grande potere più tempo per rimanere».
Se Zaia non potrà ricandidarsi, il partito di Meloni è pronto a pretendere l’avvicendamento e anche FI può lanciare Flavio Tosi. La linea della Lega, promossa dal vicesegretario Andrea Crippa, è di offrire a FdI la candidatura in tutte le regioni attualmente governate dal centrosinistra pur di mantenere le divisioni attuali, ma la sensazione è che l’equilibrio si sia rotto.
SARDEGNA
La partita più impellente è quella sarda, dove si vota il 25 febbraio e i candidati di centrodestra continuano a essere due. Da una parte l’uscente leghista Christian Solinas, dall’altra il sindaco di Cagliari di FdI, Paolo Truzzu, che oggi dovrebbe presentare la sua candidatura. Solinas vorrebbe tenere l’isola e Salvini per ora non sembra intenzionato a cedere.
Tuttavia FdI sventola i sondaggi negativi: secondo una rilevazione di Swg per Ansa, Solinas è l’ultimo tra i presidenti italiani per gradimento. Nelle ultime ore sta emergendo la possibilità di un passo indietro di Solinas in cambio di un seggio sicuro in Europa, ma la Lega chiede anche ulteriori compensazioni che rimetterebbero in discussione altre regioni al voto.
BASILICATA
Proprio questo è il timore di Forza Italia, che guida la Basilicata con Vito Bardi ed è decisa a ripresentarlo. Meloni non punterebbe alla piccola regione del sud, ma se il banco saltasse tutto tornerebbe in discussione. Anche perché la Basilicata potrebbe diventare la compensazione per la Lega, che avrebbe già un candidato pronto: il coordinatore regionale del Carroccio, nonché ex senatore e sindaco di Tolve, Pasquale Pepe.
Secondo i retroscena lucani, una delle ipotesi sul tavolo è quella di dare la Basilicata alla Lega offrendo a Bardi un incarico da sottosegretario a Roma e compensare FI lasciandogli esprimere il candidato sindaco di Potenza. A differenza di Solinas, però, Bardi è forte di un sondaggio di Emg, che colloca la coalizione di centrodestra al 46 per cento e lui al 48, inoltre in regione la Lega è l’ultimo partito, all’8 per cento, due punti dietro FI.
ABRUZZO
Altra partita che sulla carta è chiusa, ma in realtà rischia di finire nello scontro tra Lega e FdI, è quella in Abruzzo. Il presidente uscente è il meloniano della prima ora, Marco Marsilio. È stata la prima regione conquistata da FdI e da qui è partita la cavalcata vittoriosa che ha portato Meloni a palazzo Chigi.
Non a caso la premier ha scelto proprio il collegio dell’Aquila per tornare in parlamento. Insomma, la ricandidatura di Marsilio non è in discussione su nessun fronte. La Lega ha fatto capire di essere pronta a congelare il bis del presidente, citandolo espressamente ogni volta che si è discusso di Sardegna. In regione, però, c’è chi ragiona sulla possibilità che il pupillo di Meloni manchi la rielezione.
PIEMONTE
A maggio anche il Piemonte andrà al voto e, almeno fino a fine dicembre, nessuno aveva messo in discussione la ricandidatura dell’azzurro Alberto Cirio. «Squadra che vince non cambia», aveva detto Salvini e, in ottobre, il via libera informale era arrivato anche da FdI. In realtà i meloniani piemontesi avevano fatto un pensiero a rivendicare la regione, visto che il partito non guida nessuna grande regione del nord.
E il nome ipotizzato era quello di Elena Chiorino, assessore al Lavoro della giunta Cirio. L’uscente ha dalla sua un sondaggio Swg molto favorevole, che lo vede vincente sopra il 50 per cento con tutti i candidati possibili di centrosinistra, ma anche prevalere 41 contro 35 con Chiorino. C’è ancora qualche mese di tempo prima di arrivare al voto e molto dipenderà dal Veneto e dall’esito della legge sul terzo mandato, ma FdI è decisa a trovare spazio anche a nord.
UMBRIA
L’ultima competizione in ordine di tempo sarà quella in Umbria, a ottobre. Qui l’uscente è la leghista Donatella Tesei, che non è mai andata d’accordo con i colleghi di FdI in regione. Questo metterebbe in discussione la sua ricandidatura e a insospettire i quadri locali della Lega è stato l’ingresso in FdI dell’assessora Paola Agabiti, sostenuta anche a livello civico e che potrebbe essere una possibile alterativa a Tesei.
In realtà i giochi dipenderanno dall’esito delle europee, che darà il nuovo quadro dei rapporti di forza, e da come si chiuderanno gli accordi nelle altre regioni al voto: se FI perdesse Piemonte e Basilicata reclamerebbe l’Umbria per cui ha già pronto il sindaco di Perugia Andrea Romizi.