Ora Letta è costretto a essere di sinistra
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ilario lombardo
Matteo Renzi era lì, ad aspettare. Nella posizione di chi, rassegnato, scopre la comodità di avere poco o nulla da perdere. Fino all’altro ieri non era così sicuro che Carlo Calenda avrebbe avuto il coraggio di rompere con Enrico Letta. Alla fine è stato così e il naufragio dell’accordo tra Azione e il Pd ha ridato vita a un progetto che è sempre rimasto nel cono d’ombra delle trattative nel centrosinistra. «Abbiamo un’opportunità straordinaria #TerzoPolo» twitta dopo l’annuncio il leader di Italia Viva, che sembrava destinato a una corsa in solitaria, all’inseguimento del 5 per cento e sostenuto solo dall’ex sindaco di Parma, l’ex grillino Federico Pizzarotti , e dalla sua Lista Civica Nazionale. La mossa di Calenda riconsegna un quadro di possibili alternative. La strada è complessa, vanno inghiottiti rancori e sospetti reciproci, ma lo spazio politico indubbiamente esiste. Un minuto dopo l’addio a Letta, Calenda conferma che si sentirà a breve con l’ex premier. Renzi è pronto, e fa trapelare la sua disponibilità. Le condizioni per incontrarsi, siglare un patto, arrivare uniti al 25 settembre, ci sarebbero. Ma sarebbe tutto troppo facile. E così non è.
La forza di Calenda sono i consensi in salita, che è convinto cresceranno dopo il divorzio da Letta. Quella di Renzi è il simbolo, che potrebbe sgravare Azione dall’obbligo di raccogliere le firme per la lista, in tempi ormai strettissimi e collegandole a nomi e cognomi dei candidati, pena l’annullamento e l’impossibilità di partecipare alle elezioni. Calenda però prende tempo. Dall’entourage confermano che non ci sono stati contatti ufficiali. Non vuole precipitarsi tra le braccia di Renzi, assumendo una posizione di debolezza. Sostiene che la legge esenterebbe Azione, perché il partito è nato dall’associazione Siamo Europei, con cui il leader è stato eletto in Europa, inglobato dal Pd. In attesa che il ministero dell’Interno lo attesti, Calenda ieri ha subito riunito i direttivi e ha dato ordine di partire con una grande mobilitazione. «È difficile ma ce la possiamo fare». Nel frattempo, capirà cosa fare con Renzi, che a sua volta ha scritto ai parlamentari di non esporsi: «Spegnete i tweet e andate al mare». Serviranno 48 ore di decompressione. Aspettare, e capire. Pura tattica negoziale. O, se si vuole, gioco di seduzione a distanza tra due partner che hanno conflitti ma anche interessi a stare insieme.
Renzi è convinto che il Terzo Polo possa arrivare all’8-10%. Dentro Azione azzardano anche un potenziale 15%. Ma c’è da capire quanto i due partiti possano cannibalizzarsi a vicenda. Per elettorato, spirito, orizzonte politico e proposte, Iv e Azione sono in parte sovrapponibili, secondo i sondaggisti. Le complicazioni sulla strada dell’accordo sono due. Una più tecnica, legata ai vincoli della legge elettorale. L’altra più caratteriale. Calenda e Renzi, per chi li conosce, sono incompatibili. Calenda è un uomo che vive in diretta, dice e scrive quello che pensa, Renzi tesse di più dietro le quinte e usa astuzia politica. Entrambi mediaticamente forti, dovrebbero accordarsi sulla leadership e sulle presenze televisive in campagna elettorale. Non facile. Chi è vicino a Renzi dice che alla fine, pur di non compromettere l’obiettivo, il senatore fiorentino non avrebbe particolari problemi a fare un passo di lato e a lasciare timone e riflettori tv a Calenda. Ma sono affermazioni che andrebbero testate durante la campagna elettorale.
Detto questo, c’è un secondo ostacolo. Secondo i fedelissimi di Calenda, Renzi preferirebbe fondere i due partiti in una lista unica e teme di andare in coalizione, come vuole Azione, con simboli separati, perché spaventato dalla prospettiva di non arrivare al 3%. L’ex premier è aperto a intavolare un ragionamento, che era disposto a fare da tempo, prima che i veti – secondo lui soprattutto di Emma Bonino, alleata di Calenda con +Euorpa – affossassero ogni tentativo di rientrare nella coalizione del Pd. Anche per questo Renzi ha assaporato la giornata di ieri come una rivincita: «Ha segnato la Caporetto di Letta». Una strategia «fallimentare», sin dal principio, quando il leader dem ha scelto di tenere fuori Iv, lasciando aperta – secondo Renzi – una competizione sul fronte più liberale che ha spaventato Calenda. Effettivamente i vertici di Azione, negli ultimi giorni, hanno cominciato a preoccuparsi di perdere consenso a favore di Renzi, del centrodestra e dell’astensione. Ora lo strappo risveglia l’euforia di chi non ha mai creduto al matrimonio con i democratici e avrebbe preferito Azione fuori dai due poli . Sui social, dalla base, tra gli eletti si crea subito una spinta a favore della scelta di Calenda. L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, che aveva confessato di essere tentato di non votare, guida l’appello dei rappresentanti territoriali lombardi a favore dell’accordo di centro tra Renzi e Calenda. Sarà interessante capire anche che tipo di consenso attrarranno. Se soltanto da destra, o anche il voto riformista di sinistra deluso dal Pd, come vorrebbe Renzi. Secondo Osvaldo Napoli, ex Forza Italia, tra i primi a credere in Azione, non ci sono dubbi: «Gli elettori moderati, che votavano Fi e Lega al Nord verranno da noi, non dalla Meloni». Chi non vuole il trionfo della destra sovranista, aggiunge, «dovrebbe ringraziarci». Ma questa, al momento, è una speranza.