Più che un meeting dell’amicizia quello che si apre oggi a Rimini sembra più un conclave di governo: 13 i ministri che sfileranno nella capitale della riviera romagnola, dai vicepremier Salvini e Tajani fino a Fitto, Giorgetti, Lollobrigida e Sangiuliano con gli organizzatori che sperano di avere anche lei, la premier Meloni, come ospite «last minute» per la quale hanno già preparato i tappeti rossi. Per la leader di Fdi sarebbe la prima vota a Rimini da premier, e la prima uscita pubblica dopo le ferie d’agosto in Puglia.

Nel frattempo il suo governo è già schierato in forze e pare un ricordo lontano l’innamoramento del meeting per Mario Draghi, per due volte osannato, negli ultimi anni, con standing ovation: la prima nel 2020, quando fece il famoso discorso sul «debito buono» che fece suonare la campana su una sua discesa in politica, cosa che avvenne pochi mesi dopo, nel febbraio 2021 con la nascita del suo governo; e poi ancora da premier uscente nell’estate 2022, quando il sentiment (non solo al Meeting) era il rammarico per la sua imminente uscita da palazzo Chigi. Dal tecnoeuropeismo al turbo sovranismo il passo per i ciellini è stato relativamente breve.

Il cuore di questo popolo ha sempre battuto a (centro) destra, Meloni in fondo ha fatto della sua identità «cristiana» un pezzo importante della sua cifra politica e poi il potere ormai è tutto da quella parte. E dunque bando agli indugi e agli equilibrismi dell’ultimo decennio, segnato anche da una folgorazione renziana ai tempi di palazzo Chigi, quando a Rimini imperversava il giglio magico. L’aria che tira oggi è quella dei «valori non negoziabili», della famiglia tradizionale e della difesa della vita da aborto e eutanasia, e su questi temi Meloni e Salvini sono interlocutori più che affidabili. E del resto non è un caso se la candidata scelta dalle destre per la carica di presidente dell’Emilia Romagna è la preside Elena Ugolini, molto vicina a Cl: il segnale di un nuovo dialogo tra moderati cattolici e sovranisti.

Il feeling col Pd sembra svanito. Sarà perchè con Schlein la scintilla non è mai scattata, forse a causa delle battaglie della segretaria sui diritti civili. Nel programma lei non c’è e non compare alcun leader del cosiddetto campo progressista: non Conte (snobbato anche quando era premier), per non parlare di Fratoianni e Bonelli e persino di Renzi e Calenda.

Per le opposizioni giusto qualche wild card per amici storici del Meeting come Paolo Gentiloni, Enrico Letta, l’ex governatore emiliano Stefano Bonaccini e l’ex sindaco di Rimini Andrea Gnassi. Più qualche invito sparso per la vicepresidente del parlamento Ue Pina Picierno, la senatrice Simona Pd Malpezzi e il neo eurodeputato Antonio Decaro. Per i 5S ci sarà il capogruppo Stefano Patuanelli, per Iv Raffaella Paita e Elena Bonetti per Azione.

Foglie di fico di un Meeting che non sembra più nemmeno volersi prendere la briga di apparire in equilibrio tra i due schieramenti. Anche su temi come autonomia e premierato su cui la Cei ha già espresso pubblicamente i propri dubbi. E del resto, accanto ai volti storici come Maurizio Lupi, ci sono quarantenni vicini a Cl che già hanno scelto l’approdo sovranista di Fdi, dal deputato Lorenzo Malagola al consigliere regionale della Lombardia Matteo Forte. Il primo, intervistato da Avvenire qualche mese fa, ha cercato di coniugare la linea di Papa Francesco sull’immigrazione con quella di Meloni. Spiegando al giornale dei vescovi che «tra noi e l’ultradestra esiste una distanza incolmabile». Chissà, forse pensava di essere stato eletto parlamentare in un altro partito.

Così vanno le cose tra gli stand della fiera di Rimini, dove il gemellaggio con l’estrema destra viene camuffato da parole come «conservatori» e dove, però, la grande attesa è tutta per Giorgia, «madre e cristiana».