«C’è qualcosa di torbido nell’aria. L’uscita di Giuliano Amato su Ustica non è casuale, non lo è neppure il rilievo editoriale che le è stata data, non può essere considerata come un incidente. Quando in un paese non c’è più il governo e non c’è più l’opposizione, l’istituzione repubblicana va in crisi, perché viene a mancare il punto di appoggio».
Rino Formica, 96 anni, per giorni ha evitato di intervenire sulla riapertura del caso del Dc-9 precipitato il 27 giugno 1980 con 81 persone a bordo, scatenata dall’intervista dell’ex premier Amato a Repubblica.
Di Amato Formica è stato compagno di partito nel Psi. Nel giugno 1980 era entrato da due mesi nel governo Cossiga, ministro dei Trasporti, tra i più vicini al segretario Bettino Craxi.
Lei fu tra i primi a parlare di corpo esterno, di un missile che aveva abbattuto l’aereo. Lo fece a ridosso degli eventi e poi in parlamento, in numerose interviste, davanti ai magistrati. Perché?
Da ministro dei Trasporti convocai immediatamente il generale Saverio Rana, un amico, un compagno, era stato il pilota di Pietro Nenni, guidava il Registro aeronautico italiano.
Era in campo l’ipotesi di un cedimento strutturale dell’aereo che chiamava in causa la vigilanza del Rai. Lui mi disse che nella ricostruzione c’era un punto mancante, mi portò alcune cartine, c’erano puntini attorno all’indicazione della traccia conciliabili con la presenza di un corpo esterno. La commissione di inchiesta ministeriale Luzzatti confermò che non era stato un cedimento dello scafo. Io dissi: non escludo il missile. In un secondo momento Cossiga aggiunse: un missile francese.
Una storia vecchia di decenni, dunque. La vera rivelazione di Amato è sul ruolo di Craxi: avvisò il capo libico Gheddafi di non volare sul Mediterraneo quella notte, nel 1980, perché il suo aereo sarebbe stato abbattuto.
È un falso. Un atto volgare verso Craxi e verso la storia del Psi. I servizi segreti erano in quel momento totalmente in mano alla loggia P2, che guidava sia la corrente filo-israeliana e atlantica legata alla filiera dell’ex capo del Sid, il generale Maletti, sia la corrente filo-araba e palestinese del capo del Sismi in carica, il generale Santovito.
Loro avevano il potere di avvertire Gheddafi, non Craxi. Amato in quel momento era in minoranza nel Psi, aveva partecipato alla fallita “intentona” di un pezzo del partito contro Craxi, era andato in America, da cui tornò nel 1982, ben formato.
Perché Amato ha riaperto il caso Ustica?
È un intervento che va inquadrato nel clima di questi ultimi mesi. Si vuole chiudere la stagione della Repubblica anti-fascista. Si vuole spingere il paese a prendere atto che un assetto si è definitivamente concluso e che se ne deve aprire un altro.
C’è il cedimento della struttura istituzionale che vede un governo parlamentare e un’opposizione parlamentare, entrambi rispettosi della rappresentanza politica del paese, nata l’8 settembre 1943.
La data che per lo storico Ernesto Galli della Loggia ha segnato la morte della Patria.
Per me è stato il momento in cui si sono organizzati i partiti democratici. Nei 45 giorni che vanno dal 25 luglio all’8 settembre del 1943 nasce un governo tecnico di transizione, guidato dal generale Pietro Badoglio, se ne va il sovrano, c’è l’ingresso in scena dei partiti. Con la chiusura del ciclo monarchico-fascista nasce l’antifascismo dei partiti del Cln e, sul fronte opposto, si forma il fascismo repubblichino, il tentativo del fascismo di sopravvivere a sé stesso con l’appello alla parte melmosa dello stato e il totale asservimento al nazismo. Non c’è solo la burletta di Salò, ma le stragi più efferate. I partiti si organizzano nella lotta contro il fascio-nazismo al nord e la ricostruzione dello stato al sud come base di lancio della futura assemblea costituente.
La Repubblica nasce l’8 settembre 1943. Nasce l’antifascismo repubblicano che esclude il fascismo repubblichino. Tra il 1943 e il 1946 finisce la guerra, sparisce la monarchia con un voto popolare, viene scritta la Carta costituzionale che non è frutto del programma di uno solo dei partiti. Nella Costituzione c’è il codice di Camaldoli dei cattolici, ma la Costituzione non è Camaldoli.
C’è il manifesto di Ventotene di Spinelli, ma la Costituzione non è Ventotene. C’è il riscatto sociale dei socialisti, ma la Costituzione non è dei socialisti. C’è il comunismo, quello ossequiente con l’Unione sovietica, ma anche il comunismo di Terracini. Ci sono tutte le grandi culture che si oppongono al totalitarismo. E c’è la rottura tra il fascismo repubblichino e la democrazia repubblicana.
E ora, ottant’anni dopo?
La destra nuova che oggi governa è erede diretta della destra repubblichina, fascista, collaborazionista. Sono disposti a prendere le distanze dal Ventennio, ma non da Salò. Questa destra sa che la finzione non è più possibile.
Vuole dimostrare che la Repubblica in Italia non è stata la conquista definitiva della democrazia, ma una semplice transizione. Vuole far passare che i partiti democratici hanno conservato tutti i mali dello stato pre-fascista e che si sono asserviti alle forze vincenti della Seconda guerra mondiale».
In questo contesto, cosa c’entrano le parole di Amato?
Per aprire una nuova fase costituente bisogna azzerare la Repubblica, annacquare ogni differenza in una responsabilità collettiva, in misteri che coprono altri misteri. Con l’obiettivo di superare la fase repubblicana e avviare la fase della democrazia diretta, presidenziale.
La destra vuole una Costituzione al buio, con l’incerta sollecitazione di avverare il miraggio del capo al comando. Per fare questo serve anche un presidente di transizione, un presidente provvisorio, come fu Enrico De Nicola, di passaggio tra un regime e l’altro. C’è bisogno di un De Nicola due, potrebbe essere lo stesso Amato, ma non solo.
In queste settimane le opposizioni discutono di salario minimo, basta?
Devono chiedersi: ha ancora un valore la scelta repubblicana dell’8 settembre 1943? Per 30 anni si è fatto finta che lo scontro non ci fosse, si è detto che bisognava occuparsi delle scelte amministrative, delle piccole cose. Ma i sindaci socialisti di Milano si occupavano dei bisogni delle persone, erano i sindaci del pane, ma anche della pace internazionale. Aver messo in alternativa la grande politica, che per il racconto comune, conformista, farebbe solo chiacchiere, con la piccola politica, che invece si occupa dei problemi reali delle persone, è una grande falsità. Perché è la grande politica che dà fastidio alla destra.
Cosa devono fare le opposizioni per fermare questo progetto?
Fare quadrato attorno al presidente della Repubblica, costretto a un richiamo quotidiano alla base storica, politica, morale della scelta repubblicana dell’8 settembre. Almeno finché non si sarà il vero balzo in avanti.
Non è la riscrittura della Costituzione italiana, ma la scrittura di una Costituzione politica sovranazionale dell’Europa. Una nuova Ventotene. Vinceranno la battaglia democratica in Italia quelle forze dell’attuale opposizione che opereranno uno sfondamento elettorale anche tra gli elettori del centro-destra su questo punto. Trent’anni fa la riforma della Costituzione poteva far compiere il balzo in avanti, oggi serve solo a rimpicciolire il paese in un micro-nazionalismo fuori dalla Storia e soprattutto fuori dalla vita futura dell’Italia.
Lei l’8 settembre 1943 c’era, aveva sedici anni, a Bari. Cosa ricorda di quel giorno?
Ci vedevamo alla libreria Laterza, anziani e giovani dei vari movimenti politici, socialisti, comunisti, azionisti. Partecipai alla fondazione del Partito socialista in Puglia, nella terra liberata. Entrai nel Partito socialista da figlio di un ferroviere, la mia prima prestazione fu quella di distribuire l’Avanti. Il 18 novembre farò ottant’anni dalla mia iscrizione al Partito socialista. Per me è quella la radice, la mia storia, il mio giuramento di fedeltà.