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10 Marzo 2024Roberto Benigni: «Berlinguer mi disse che aveva paura di cadere. Il comunismo? Una fiaba. Le case del popolo? Ora fanno la lap dance»
«Berlinguer ti voglio bene» in tv. «I critici non lo capirono, era troppo avanti. A Milano la gente usciva dalle sale urlando. Per la protagonista femminile andammo da Valentina Cortese, ci disse che doveva chiedere a Giorgio (Strehler). Poi arrivò Alida Valli»
Roberto Benigni è una girandola di aneddoti su Berlinguer ti voglio bene, il film di Giuseppe Bertolucci, trasmesso su La7. «Un evento unico, è la prima volta che viene trasmesso, l’unico film al mondo che non era mai andato in onda». Era il ‘77. Tre anni dopo, Benigni a una manifestazione prese in braccio Enrico Berlinguer. Il segretario del leader del Pci, Tatò, gli disse: «Se l’avessi fatto tre anni fa, ti avrebbero sparato». Il comico si rivolge a Corrado Augias, di cui è ospite con Walter Veltroni nel programma La torre di Babele, prima della messa in onda del film: «Ma guardi la felicità di Berlinguer mentre lo prendo in braccio, quest’immagine la misero come gigantografia in tutte le Case del popolo. Lo presi e lo dondolai un po’, lui mi sussurrò che aveva paura di cadere». Si rividero in altre occasioni. A chiusura di una Festa dell’Unità a Reggio Emilia, nel 1983: «C’erano 800 mila persone». E dopo uno spettacolo ad Alghero, il segretario del Pci si palesò all’una di notte mentre Benigni cenava in hotel: «Mi disse, anche io ti voglio bene».
A proposito del film, per Augias racconta un’Italia che non c’è più. E Benigni: «Mi permetta di dissentire. È modernissimo. Il film, dove debutto come sceneggiatore e attore, è leggendario, è traslato, nessuno l’ha saputo definire, realista, iper realista…». Dice che quel film è avanti al suo tempo, i critici non sapevano cosa dire perché si trovavano in faccia il vento del nuovo che gli soffiava in faccia, e non lo riconobbero. C’è il sottoproletario delle Case del popolo che in Toscana erano una palestra di democrazia. Oggi non ci sono più, «sono locali di lap dance (qui l’articolo del Corriere del 7 febbraio 2007), spazzate via come Macondo. Ma hanno fatto vivere il comunismo come una fiaba, io vengo da una famiglia socialista ma non si poteva non essere comunisti. E’ come l’età evolutiva adulta, quando lo spirito dell’uomo comincia a bollire e esplodere, la prima volta da soli, poi in compagnia. Nel film non c’è una frase che non si rivolga ai genitali o a una parte bassa del corpo. E’ liberatorio. E’ come i bambini che dicono cacca-puzza».
Anche Mozart lo diceva, riesce a intrufolarsi Augias. «E questo è un film mozartiano. Il turpiloquio è così osceno da diventare lirico. Mean Streets di Scorsese al confronto è Cenerentola. Quando lo vide Bernardo Bertolucci, fratello di Giuseppe, quasi ne fu geloso, qualcosa che non si riusciva a percepire spazzava via tutto». Anche la storia di Benigni è una favola: da Televacca all’Oscar. Benigni andò a vederlo in un cinema di Milano: «La gente invece di entrare usciva dalla sala, andava via bestemmiando. Il proprietario dopo venti minuti accese le luci e disse che avrebbe rimborsato i biglietti. E’ un film eccessivo, romantico, aspro. E maledetto». Il coproduttore Pupi Avati disse: «Sono l’unico che con Benigni ci ha rimesso». Ma la protagonista, Alida Valli, che fa sua madre, l’attrice di Senso, l’Ingrid Bergman italiana, l’attrice di nobile lignaggio, come finì lì? Benigni si sganascia: «In un primo tempo si andò a chiedere a Valentina Cortese che rispose: farò leggere la sceneggiatura a Giorgio e vi richiamo. Era Giorgio Strehler. Alida disse sì perché aveva già girato con Bernardo Bertolucci e si considerava di famiglia».