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Bene-detto Generale
di Massimo Gramellini
Meno male che esiste Roberto Vannacci, «detto Generale» (così apparirà sulle schede: i politici hanno una considerazione talmente alta dei loro elettori da ritenerli incapaci di scrivere un cognome di tre sillabe). Per la sinistra «detta progressista», Vannacci è l’avversario ideale. Le permette di coltivare il suo senso di superiorità e di agitare l’ennesimo spauracchio per compensare la sconsolante mancanza di idee forti sulla tutela dei più deboli, che un tempo erano la ragione sociale della ditta. Ma anche per Giorgia Meloni «detta Giorgia» quell’uomo con più pregiudizi che stellette è un’autentica manna del cielo. Basta sentirlo argomentare i suoi pensierini da bar perché al confronto Ignazio La Russa appaia Umberto Eco. Vannacci scavalcherebbe a destra persino i frequentatori di Predappio: figuriamoci la premier, che restando ferma si ritrova praticamente al centro. Vannacci fa molto comodo anche a Vannacci: adesso che la sua carriera di scrittore ha esaurito la spinta propulsiva, un seggio sicuro in Europa è la migliore riforma pensionistica che potesse capitargli. Ma «detto Generale» non dispiace neanche agli oppositori di Salvini dentro la Lega, che inorridendo in pubblico davanti alle sue dichiarazioni su gay e disabili, hanno la possibilità di saggiare il terreno in attesa della resa dei conti col segretario.
A ben pensarci, c’è un solo politico a cui l’estremismo di Vannacci potrebbe non convenire. Ed è proprio quel «detto Matteo» che lo ha messo in lista.